sabato 18 gennaio 2020
Nella baraccopoli di Makindye, a Kampala, 700 bambini provano a fuggire da una vita di disagio. Il preside Bosco Lusagala è un tutsi scampato al genocidio ruandese: «Qui diamo loro una speranza»
Gli alunni della Great Valley School di Kampala: nel 2018 in 42 su 53 hanno conseguito il voto finale più alto

Gli alunni della Great Valley School di Kampala: nel 2018 in 42 su 53 hanno conseguito il voto finale più alto - Alfieri

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I banchi e le sedie, quelli li riconosceresti tra mille. Sono quelli che, già d’annata allora, riempivano le nostre aule nei primi anni Ottanta e poi recapitati fin qui, gambe di ferro ancora in discreto stato, ripiani in formica con pezzi di bordo mancanti e finiti chissà dove. Il soffitto in mattoni e cemento non ha ancora l’intonaco e una plafoniera chi l’ha vista mai, una lampadina pendente e via andare. Le pareti delle aule, però, raccontano che, pur nella precarietà generale della struttura, l’impegno di chi lavora qui non manca: cartelloni colorati di tutti i tipi spiegano, con disegni e parole, gli argomenti più diversi. Lettere e numeri, certo, ma anche il corpo umano, gli animali, le bandiere, le forme geometriche, per arrivare addirittura ai circuiti elettrici e al sistema urinario.

Scuola primaria Great Valley School, baraccopoli di Makindye, quadrante meridionale della capitale ugandese Kampala, 735 bambini in maglietta arancione e pantaloncini blu, molti con storie difficili alle spalle o provenienti da famiglie disagiate. Qui, sostenuti dall’Ong italiana Africa Mission Cooperazione e Sviluppo, gli alunni studiano e pranzano, ma soprattutto vivono per l’intera giornata in un luogo protetto, lontano dalla strada, cresciuti da insegnanti che tengono al loro futuro. Il preside Bosco Lusagala – 40 anni, ruandese, tutsi sfuggito al genocidio del 1994 in cui perse il padre – è l’anima del complesso.

Una delle pareti della scuola ricoperte da cartelloni didattici autoprodotti

Una delle pareti della scuola ricoperte da cartelloni didattici autoprodotti - Alfieri

«Ho vissuto nei campi profughi, poi in strada a Kampala, so com’è quella vita – racconta –. Ho avuto la fortuna di incontrare il missionario comboniano padre Giuseppe Valente che ha accolto altri bimbi come me dandoci la possibilità di studiare e di costruirci un domani. Ora tocca a me restituire qualcosa agli altri». Grazie agli ottimi risultati, Bosco ottiene borse di studio governative, conseguendo l’abilitazione di insegnante e iniziando l’attività di docente nelle secondarie. Poi, con alcuni amici, l’idea di fondare la Great Valley, all’inizio per 140 bambini, quintuplicati nel 2011 con l’acquisto di un nuovo terreno (e quindi di una nuova struttura) da parte di Africa Mission, con cui instaura un rapporto forte di amicizia e condivisione.

«I risultati che i nostri ragazzi raggiungono sono eccellenti, tanto che la nostra è tra le migliori scuole di Kampala – spiega Bosco orgoglioso –. Ad esempio negli esami finali dell’ultimo anno nel 2018 su 53 alunni in 42 hanno conseguito il primo grado, il voto più alto, e gli altri 11 il secondo grado. Poveri di mezzi, questi ragazzi che provengono dallo slum, ma certamente ricchi di impegno e passione per lo studio».

Un gruppo di alunni della Great Valley School di Kampala

Un gruppo di alunni della Great Valley School di Kampala - Alfieri

È un preside che non smette di sognare, Bosco, per continuare a dare risposte ai figli di una comunità povera che ogni giorno deve lottare nella dura realtà della baraccopoli. «Bosco vorrebbe poter approntare altre aule per accogliere più ragazzi, visto che sono in tantissimi a richiedere di poter accedere alla scuola – spiega don Sandro De Angeli, sacerdote fidei donum della diocesi di Urbino da tre anni in Uganda, “di casa” alla Great Valley –. Soprattutto desidera che accanto a questa scuola primaria ce ne possa essere anche una secondaria con indirizzo professionale, in modo che i ragazzi possano prepararsi per un lavoro futuro. Certo, servirebbero più fondi, ma finora la Provvidenza ha avuto attenzione per questa realtà. Questo percorso può e deve continuare a dare ancora speranza».

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