martedì 2 aprile 2024
La città accoglie i rifugiati che hanno lasciato i territori occupati. Il dramma di aver perso tutto. Negli ultimi mesi due nuovi incubi: l’avanzata degli invasori e la chiamata alle armi ucraina
A Zaporizhzhia la distribuzione degli aiuti agli sfollati di guerra da parte della Chiesa greco-cattolica

A Zaporizhzhia la distribuzione degli aiuti agli sfollati di guerra da parte della Chiesa greco-cattolica - Gambassi

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Veronika dorme nel passeggino. «È nata durante la guerra: ha nove mesi», sussurra nonna Liliya mentre l’accarezza e tiene a bada Mira, la sorellina che di anni ne ha cinque. Liliya Lounova prova a sorridere ma il volto tirato dice altro. «È tutto ciò che mi rimane», sospira la donna indicando le bambine. Due nipotine. Due figlie sposate. E la stanzetta in un dormitorio universitario trasformato in hub per gli sfollati. Uno dei presidi allestiti a Zaporizhzhia per dare un tetto e un letto a chi è fuggito dai territori occupati della regione che prende il nome dal capoluogo dell’Ucraina meridionale e che per l’80% è in mano russa.

Liliya Lounova, sfollata dai territori occupati con la figlia e le due nipotine

Liliya Lounova, sfollata dai territori occupati con la figlia e le due nipotine - Gambassi

«La guerra mi ha rovinato la vita. Per colpa di Putin ho perso le mie radici, la mia casa e soprattutto mio marito», confida. Capelli biondi, un filo di rossetto, non dimostra i suoi 55 anni. L’assedio dell’esercito di Mosca l’ha costretta ad abbandonare il villaggio di Myrne che, per uno scherzo del destino, significa “pace”. «I russi lo hanno preso subito, due anni fa. E ancora resta vicino ai campi di battaglia», racconta con le lacrime agli occhi di cui sembra vergognarsi. Anzi, adesso è un agglomerato conteso, che Putin annuncia di aver conquistato pochi giorni fa. «La mia abitazione non c’è più: distrutta come quasi tutto il paesino». E non c’è più Valery, il marito. Per le forze armate ucraine, è disperso dallo scorso maggio. «Si era arruolato volontario. Ma so che è morto. La sua unità è finita in mezzo a un attacco dal cielo». A Chernihiv, la regione nel nord del Paese al confine con la Russia che fa da “scudo” a Kiev. «Il corpo non è mai stato trovato. Forse l’esplosione lo ha carbonizzato. Però nessun comandante si è preso la briga di certificare il decesso». E, senza un documento ufficiale, Liliya non può neppure avere l’indennità che la legge le garantirebbe. «Poi quando cerco un lavoro, tutti mi rispondono: sei troppo in là con gli anni».

A Zaporizhzhia la distribuzione degli aiuti agli sfollati di guerra

A Zaporizhzhia la distribuzione degli aiuti agli sfollati di guerra - Gambassi

È misera la vita del rifugiato. Ce ne sono 150mila a Zaporizhzhia, la città della fuga e della speranza. Perché qui un terzo degli abitanti che sfidano i bombardamenti e il fronte a trentacinque chilometri di distanza ha visto la sua terra finire sotto il controllo di Mosca all’inizio della guerra. E perché chi ha scelto di restare da evacuato aspira a tornare nei luoghi strappati all’Ucraina. È più un sogno che una possibilità concreta ciò che persuade a fermarsi nella maggiore città a ridosso della linea che separa l’Ucraina libera da quella occupata. Una metropoli che la guerra ha stravolto: via la metà dei 700mila residenti che si sono trasferiti in altre regioni o nazioni e l’approdo in massa dei rifugiati che, in parte, hanno sostituito la gente fuggita. «Rivoglio i miei posti. Qui mi pare soltanto di sopravvivere», sostiene Liliya mentre riceve la spesa solidale che le fanno arrivare per la giornata della Risurrezione le religiose di San Basilio della Chiesa greco-cattolica insieme con gli abiti e i giochi per bambini. È la Pasqua occidentale quella celebrata domenica, non la Pasqua dei greco-cattolici e degli ortodossi che cadrà il 5 maggio. «Chi lo vorrà potrà festeggiarne due», scherza suor Lucia. La solennità trascorre fra allarmi e nuove incursioni russe nell’oblast. E con missili e droni su tutta l’Ucraina: da Leopoli a Sumy, passando per Kharkiv.

A Zaporizhzhia la distribuzione degli aiuti agli sfollati di guerra da parte della Chiesa greco-cattolica

A Zaporizhzhia la distribuzione degli aiuti agli sfollati di guerra da parte della Chiesa greco-cattolica - Gambassi

La consegna degli aiuti avviene davanti al palazzone di cinque piani che ospita cinquecento rifugiati. Una camera ogni cinque persone. «E adesso lo Stato cancella anche i sussidi per noi sfollati», denuncia Svitlana Gromuka. Duemila grivnia al mese: 50 euro. Dall’agosto 2022 è a Zaporizhzhia. Ha lasciato i dintorni di Melitopol, la città considerata la “porta della Crimea” che il Cremlino sta colonizzando e ricostruendo dopo essersene impossessato due anni fa. «Ho provato a resistere sotto occupazione insieme con la famiglia di mia figlia. Ma, quando abbiamo capito che mio genero poteva essere arruolato a forza fra le fila russe, siamo scappati». La città l’ha accolta, ma lei si sente un’estranea. «Non c’è lavoro. Al massimo si può ricorrere a qualche espediente, come fa mia figlia. Però è sempre più difficile». E negli ultimi mesi si fanno i conti con due nuovi incubi: l’avanzata dell’esercito di Mosca che minaccia Zaporizhzhia; e la chiamata collettiva alle armi targata Kiev.

Olena Verhun, sfollata da Melitopol, città occupata dai russi

Olena Verhun, sfollata da Melitopol, città occupata dai russi - Gambassi

«C’è paura», ammette Olena Verhun. Ha 38 anni e tre figli. «Temiamo i russi e potremmo anche andarcene presto dalla città. Ma temiamo anche il reclutamento obbligatorio. Non posso permettere che mio marito si trovi in trincea», avverte. Lui è un operaio edile. «Può lavorare solo in nero - fa sapere la moglie -. Se venisse assunto, potrebbe scattare la mobilitazione o la precettazione all’interno della ditta». Anche lei si è lasciata alle spalle quella Melitopol che Putin ritiene annessa. «Ho un figlio diabetico. Ha rischiato di morire nei primi giorni di invasione. Con i russi che comandavano non c’era più l’insulina». Nella cameretta che le hanno concesso, i suoi ragazzi seguono sul cellulare la scuola online, l’unica consentita in un oblast così a rischio. «Lavorare? Impossibile con le lezioni solo via web - sospira Olena -. Devo dedicarmi a loro, in attesa di capire quale sarà il nostro futuro e che cosa potrà accaderci». Una vita sospesa. E come il domani dell’Ucraina.

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