mercoledì 19 gennaio 2011
Il nuovo premier Ghannouchi e il presidente Mebazaa lasciano il partito del rais per placare le tensioni. Il capo della compagine difende il suo operato: «I riconfermati hanno le mani pulite». Via cinque ministri, ancora scontri. Dilaga la protesta: torce umane in Egitto e Algeria.
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Un giorno di vita ed è già a pezzi. Il governo di transizione varato lunedì dal premier tunisino Mohammed Ghannouchi ha perso, ieri, cinque ministri. La presenza nella formazione di quattro ministri vicini all’ex presidente Ben Ali, per giunta in ruoli chiave (Interni, Esteri, Difesa e Finanze) non è piaciuta alla gente e non è piaciuta agli stessi membri del neo-esecutivo.I tunisini sono scesi in piazza nella capitale per manifestare il loro malcontento. La polizia in assetto antisommossa è di nuovo intervenuta con idranti, lacrimogeni e spari in aria per disperdere la folla. Ma la pressione della piazza, come accade da giorni, ha presto incontrato uno sbocco politico. Il più grande sindacato tunisino, l’Ugtt (che ha avuto un ruolo determinante nella destituzione di Ben Ali) ha detto di «non riconoscere», il nuovo governo e i suoi tre ministri si sono dimessi dai loro incarichi. Si tratta di Houssine Dimassi, titolare della Formazione e dell’impiego; Abdeljlil Bédoui, ministro presso il primo ministro; e Anouar Ben Gueddour, segretario di Stato presso il ministero dei Trasporti. Si è dimesso poi Mustafa Ben Jaafar, ministro della Salute. I quattro ministri non erano presenti ieri alla cerimonia di giuramento del governo. Avrebbe lasciato anche l’ex sindacalista Taieb Baccouch, responsabile dell’Istruzione.La “crisi” però potrebbe presto allargarsi. Anche il partito “Ettajdid” (Rinnovamento) ha minacciato di abbandonare l’esecutivo «se le sue rivendicazioni non saranno soddisfatte rapidamente». Ed è sul piede di guerra il movimento islamista “Ennahdha” (“Rinascita”, messo al bando dal vecchio regime), che ha pesantemente criticato il nuovo governo («è un esecutivo di esclusione nazionale», ha spiegato un portavoce, «che lascia fuori i pilastri della resistenza» al decaduto regime) e annunciato che boicotterà le prossime elezioni. Una posizione inasprita anche della dichiarazioni del premier Ghannouchi, che ieri ha annunciato che il leader di Ennahdha, Rachid Ghannouchi, potrà tornare in Tunisia «solo dopo una legge di amnistia» che annulli la condanna all’ergastolo del 1991 che pende sulla sua testa. Non bastasse, è rientrato a Tunisi, dopo anni di esilio in Francia, Moncef Marzouki, leader storico dell’opposizione al regime, che l’altro ieri aveva definito il nuovo esecutivo «una farsa».Il “fronte” anti-Ghannouchi si sta insomma rafforzando. E il nuovo governo di unità, che dovrebbe traghettare il Paese fino alle presidenziali (tra due mesi secondo la Costituzione, tra sei secondo il neo-premier) si trova davanti una strada tutta in salita. Ieri Ghannouchi ha cercato di giustificare le sue scelte politiche, spiegando che i quattro ministri del passato regime confermati nel suo governo «hanno sempre agito per preservare l’interesse nazionale» e hanno «le mani pulite e una grande competenza». Ha spiegato di aver provato a «dosare le forze politiche in rapporto alle differenze forze attive del Paese». Ha assicurato che tutti coloro che hanno avuto un ruolo nella repressione «ne risponderanno davanti alla giustizia». Ha cercato di ricordare che cosa il Paese si sta lasciando alle spalle, dichiarando che la Tunisia «sembrava gestita dalla moglie di Ben Ali». Lui e il presidente Foued Mebazaa si sono infine dimessi dal partito Rcd, che era guidato dal rais, per tentare di placare le proteste. Ma difficilmente queste mosse rassicureranno la gente. E alla gente piacerà ancor meno sapere che ieri Ghannouchi ha telefonato a Ben Ali per informarlo sulla situazione del Paese. «Gli ho riferito che c’è un rifiuto totale del suo regime e delle personalità che appartenevano al suo governo», ha sottolineato il premier. Ma quel contatto è stato considerato da molti un «tradimento». E rischia di esacerbare ancora di più la piazza in una situazione già sul filo del rasoio. E che sta contagiando altri Paesi africani.Continuano infatti gli episodi di emulazione del giovane disoccupato che a novembre era dato fuoco in Tunisia innescando la rivolta. In Egitto, un uomo si è incendiato al Cairo, e lo stesso ha fatto un ragazzo ad Alessandra, che è morto per le ustioni riportate. In Algeria, invece, si è dato fuoco un padre disoccupato di sei figli.
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