martedì 11 aprile 2023
Alla vigilia dell'arrivo a Belfast del presidente Usa, Joe Biden, la violenza ha segnato le cerimonie per l’accordo del Venerdì Santo. Scetticismo su una possibile soluzione dello stallo politico
Mentre a Belfast si celebrava l’anniversario a Derry è ritornata la violenza

Mentre a Belfast si celebrava l’anniversario a Derry è ritornata la violenza - Reuters

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C’è poco da festeggiare. L’intesa che il 10 aprile del 1998 decretò la fine dei Troubles, il conflitto armato che per trent’anni ha visto nazionalisti e unionisti farsi la guerra, ha compiuto ieri un quarto di secolo. Ma la memoria di quello storico traguardo, oggi, è come offuscata da antiche paure, in fondo mai sopite, venute improvvisamente a galla. La pace scricchiola. Ha il profumo acido delle bombe molotov lanciate dai dissidenti repubblicani contro le auto della polizia a Derry misto alle note dolci dei bouquet che tappezzano di verde, bianco e arancio, i colori della bandiera irlandese, i memoriali dell’Ira, il braccio armato dello Sinn Féin durante gli anni più bui del conflitto, al cimitero Milltown di Belfast.

La tensione si taglia a fette. Dieci giorni fa i servizi di intelligence britannica avevano innalzato il livello di allerta attentati da «grave» a «molto probabile». Il 7 aprile, ancora, la polizia nordirlandese aveva esternato una «reale preoccupazione» per possibili disordini, soprattutto a Derry, nell’ambito delle parate organizzate per celebrare l’Ester Rising del 1916, la «rivoluzione breve» degli irlandesi contro il Regno Unito, durata solo sette giorni, a Pasqua, tentata con l’obiettivo di instaurare una Repubblica indipendente mentre Londra combatteva la Grande Guerra.

Dopo aver dato fuoco ai cassonetti e sbarrato la strada principale di Creggan, esteso comprensorio di case popolari che durante i Troubles è stato più volte teatro di feroci scontri tra cattolici e protestanti, alcuni giovani hanno cominciato a lanciare bombe incendiarie contro una Land Rover della polizia. Qualcuno li ha visti unirsi alla marcia dei repubblicani diretta al campo santo con mazze in spalla e cassette di birra piene di molotov. Avevano il volto coperto come i dieci paramilitari che aprivano il corteo. Non ci sono stati feriti ma le autorità locali hanno lanciato un appello: «Mantenete la calma». Poco prima dell’incidente anche Papa Francesco, da Roma, aveva pregato per l’Irlanda del Nord. «Che la pace ottenuta con gli accordi del Venerdì Santo – è stata la sua preghiera - possa consolidarsi a beneficio di tutti gli uomini e le donne dell’isola di Irlanda».

L’attenzione del mondo è tornata alta sull’Ulster. L’anniversario della pace coincide con una gravissima crisi politica legata alla Brexit. Il Democratic Unionist Party (Dup) si rifiuta di co-governare con Sinn Féin perché non accetta nessuna delle soluzioni negoziate da Londra con Bruxelles sullo status commerciale dell’Irlanda del Nord, britannica ma allineata al mercato unico. Né il Protocollo né il successivo “Schema di Windsor”. Uno sfregio all’intesa del ’98 tra Londra e Dublino che istituì il meccanismo di condivisone del potere. Il primo ministro britannico, Rishi Sunak, ha sollecitato una «rapida rimessa in funzione» dello Stormont.

Il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, arriverà oggi a Belfast, prima tappa di una quattro giorni in Irlanda. Washington ha avuto un ruolo fondamentale nel raggiungimento della pace. Mediò ogni passaggio delle trattative. Quelle finali durarono 33 ore non-stop. «Dubito che il presidente possa fare adesso qualcosa per noi», ammette Frank, 70 anni, «mi pare troppo preso dai suoi affari e dalla guerra in Ucraina». Come risolvere allora lo stallo? «Non so rispondere – ammette – so solo che questa instabilità è logorante e ingiusta. Soprattutto nei confronti di tutte le persone che sono morte durante il conflitto». La memoria di chi non c’è più è, paradossalmente, l’anima delle celebrazioni della Pasquetta e della pace nordirlandese. Soprattutto tra i repubblicani.

Le tombe del cimitero di Milltown sono invase dal tricolore irlandese. È il verde, il bianco e l’arancio delle bandierine e delle ghirlande di fiori. Due cerimonie si accavallano all’ora di pranzo nello stesso quadrante. Distanziate appena da qualche tomba. Sono in prevalenza i familiari dei combattenti dell’Ira «morti in servizio». Un ragazzo di tredici anni accompagna al braccio la nonna, una donna che pare tremare dall’emozione, a deporre il proprio omaggio floreale al memoriale. La musica funebre di una tromba gli fa da sottofondo. A suonare per i caduti per l’Irlanda unita, poco prima, anche un uomo, solo, tra i vialetti del cimitero, con l’Uilleann, la cornamusa irlandese. Bill Campbell, fratello di Tony, assassinato dall’esercito britannico nel 1973, è l’ultimo a lasciare i locali dove si è chiusa la marcia in New Lodge Street. «Sono stato nell’Ira anch’io e ne sono orgoglioso», racconta.

Poi mostra le foto del fratello nella bara che tiene su un altarino in casa: «Non posso e non voglio dimenticare. Soprattutto fino a quando non avrò avuto giustizia».


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