mercoledì 30 luglio 2014
La religiosa, presidente di Slaves no more: aiuta a creare consapevolezza attorno a un fenomeno vastissimo, che molti continuano a non voler vedere. Il traffico di esseri umani è una delle peggiori schiavitù di questo secolo. Una vergogna per l’umanità.
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Da oltre vent’anni combatte contro il traffico di esseri umani e per la dignità della donna. Per questo, suor Eugenia Bonetti – missionaria della Consolata, coordinatrice dell’Ufficio «Tratta donne e minori» dell’Unione superiore maggiori d’Italia (Usmi) e presidente dell’associazione Slaves no More – ha ricevuto numerosi riconoscimenti: dal Dipartimento di Stato americano (2004 e 2007), dall’Osservatorio permanente della Santa Sede all’Onu nel 2011, dall’Unione Europea nel 2013 e dal presidente Giorgio Napolitano, lo scorso 8 marzo. «Dall’inizio degli anni Novanta – dice suor Eugenia – e poi con maggiore efficacia dal Duemila, quando è stato creato l’Ufficio Tratta dell’Usmi, moltissime congregazioni hanno aperto le porte dei loro conventi per accogliere le nuove schiave: donne trafficate e costrette a prostituirsi, ridotte a merce, comprate e vendute da sfruttatori e clienti». Suor Eugenia, finalmente anche le Nazioni Unite hanno indetto una Giornata internazionale contro il traffico di esseri umani… È molto importante, perché aiuta a creare consapevolezza attorno a un fenomeno vastissimo, che molti continuano a non voler vedere. Il traffico di esseri umani è una delle peggiori schiavitù di questo secolo. Una vergogna per l’umanità. L’Onu stessa dovrebbe fare molto di più, chiedendo ai Paesi che sono interessati – e lo sono quasi tutti per origine, transito o destinazione – di firmare e rispettare le convenzioni internazionali e di approvare e implementare leggi nazionali più efficaci. In Italia e nel mondo, una rete capillare di congregazioni religiose sta lavorando contro questa vergognosa schiavitù. In che modo? Insieme a moltissime altre religiose in tutta Italia – ma anche in Europa e nel mondo – cerchiamo di restituire dignità e legalità a tante donne che sono state private della loro libertà, costrette a prostituirsi e ridotte letteralmente in schiavitù. Solo in Italia, oltre seimila donne sono state accolte nelle nostre comunità e sono state accompagnate in percorsi di integrazione. Nell’ultimo anno, inoltre, grazie a un contributo della Conferenza episcopale italiana e alla collaborazione con la Caritas nazionale, abbiamo avviato, come associazione Slaves no More, un progetto di rimpatri assistiti di donne nigeriane che chiedono di rientrare nel loro Paese d’origine. Una nuova e faticosa sfida, che però dimostra che il viaggio della schiavitù non è a senso unico. Si può anche tornare a casa con dignità. Questi interventi su scala internazionale richiedono un grande lavoro di rete… È la cosa fondamentale per non disperdere energie e ottenere risultati. In Italia, l’Ufficio Tratta dell’Usmi coordina una rete di circa 250 suore appartenenti a una settantina di Congregazioni religiose, che gestiscono circa un centinaio di case di accoglienza. Poi esiste una rete europea, Renate, e una internazionale Talita Kum. Più vari altri gruppi e comitati, che lavorano anche a livello dell’Onu, dove fanno lobbying e advocacy. Questa Giornata internazionale credo sia frutto anche dei loro sforzi. Oltre alle religiose, la Chiesa cosa sta facendo contro la tratta? A volte, le nostre stesse realtà di Chiesa fanno fatica ad accogliere il grido di Papa Francesco che più volte si è scagliato contro questa nuova schiavitù. Ma molte cose si stanno muovendo. In Vaticano si sta organizzando un secondo Simposio che coinvolge maggiormente i giovani. E insieme a Talita Kum – che è parte dell’Unione internazionale delle superiore generali (Uisg) – e ad altre organizzazioni stiamo lavorando per arrivare a una Giornata di preghiera e riflessione contro la tratta da celebrarsi per la prima volta in tutta la Chiesa cattolica il prossimo 8 febbraio, festa di Santa Bakhita, la piccola schiava, liberata dagli aguzzini e divenuta santa.
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