sabato 10 aprile 2010
A guidare la rivolta elettorale, in quello che molti giudicano come uno schiaffo al leader, è stato l’Splm. Il gruppo sudista ha combattuto per oltre due decenni contro  gli islamici del Nord.
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Il palcoscenico per la vittoria, si dice, è già pronto. Tra pochi giorni Omar Hassan el-Bashir, uomo forte del Sudan dal 1989, sarà "legittimato" alla presidenza del suo Paese con elezioni (apparentemente) libere. Saranno le prime nell’ultimo quarto di secolo: una generazione intera di sudanesi, infatti, non ha mai votato prima d’ora per eleggere il capo di Stato.Da domani e fino a martedì saranno quasi 16 milioni le persone che si recheranno ai seggi in Sudan per ben sei diverse votazioni. Perché in gioco non c’è la sola presidenza (già opzionata dal solito Bashir), ma anche il rinnovo dei 450 seggi dell’Assemblea nazionale, dei 25 governatori statali, dei membri delle relative assemblee e, nel Sud semi-autonomo, anche del presidente del governo locale e dei 171 membri dell’Assemblea.Tra gli osservatori regna lo scetticismo circa la regolarità del processo elettorale. È il voto presidenziale a essere guardato con diffidenza. Soprattutto dopo che nei giorni scorsi i principali partiti di opposizione hanno deciso per il boicottaggio, lanciando accuse di irregolarità contro il National Congress Party (Ncp) di Bashir e ritirando i loro candidati.A guidare l’opposizione in quello che molti hanno giudicato come uno schiaffo a Bashir è stato il Sudan’s People Liberation Movement (Splm), la formazione sudista protagonista per oltre due decenni di un sanguinoso conflitto con il Nord. La guerra si è conclusa solo nel 2005 con un accordo che ha messo in agenda due appuntamenti: le elezioni di domani, appunto, e un ben più cruciale referendum grazie al quale il Sud, nel 2011, potrà decidere per la secessione da Khartum.Ecco perché, pur nella loro importanza, le presidenziali sembrano essere così snobbate al Sud. Quello che l’Splm voleva – sostengono diversi analisti – è che le elezioni non venissero più rimandate, in modo che si proceda poi con il referendum. Solo allora, tuonano i leader locali, il Sud potrà finalmente godersi le rendite del suo greggio. Anche se resta ancora tutta da definire la questione dei confini nella regione petrolifera centrale di Abyei.Al di là dei propositi sudisti, altre questioni restano sul tavolo. Da parte sua Bashir, aprendo a un voto sulla carta libero, punta all’affermazione personale sia per "legittimare" il suo operato sul fronte interno sia per sfidare quella Corte dell’Aja che contro di lui ha emesso un mandato di cattura per crimini di guerra nel Darfur. E proprio il voto nella devastata regione occidentale, teatro di un conflitto che dal 2003 ha provocato 300mila morti, sarà un’altra delle chiavi delle elezioni. Lì per le opposizioni il voto sarà una «farsa»; la stessa Ue ha ritirato i propri osservatori per ragioni di sicurezza e, soprattutto, di «credibilità».La tensione è alta in tutto il Paese. Solo nel Sud secondo l’Onu da gennaio a oggi 400 persone sono rimaste uccise in scontri armati, 40mila sono stati sfollati. L’anno scorso le vittime erano state 2.500 e quasi 400mila i profughi. Numeri che alla vigilia del voto non possono che preoccupare. Nonostante le accuse di brogli e le richieste di rinvio, il treno elettorale comunque non si fermerà. Ritiratisi, insieme a Yasim Arman dell’Splm, anche altri tre candidati, a sfidare Bashir restano in sette, indipendenti e rappresentanti di partiti minori. Solo un ormai improbabile ripensamento di Sadiq al-Mahdi – due volte premier in passato e prima del ritiro in lizza per l’Umma Party – potrebbe eventualmente preoccupare Bashir, ma è un’ipotesi remota. Bashir non vede l’ora di presentarsi al mondo come il vincitore di un voto libero e monitorato da osservatori internazionali. E per farlo, con tutta probabilità, non avrà nemmeno bisogno di impegnarsi in un ballottaggio.
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