lunedì 11 luglio 2016
Il presidente impone una tregua immediata. Stop ai combattimenti chiesto anche dall'ex leader dei ribelli, oggi vicepresidente. Un'altra giornata di scontri ed esplosioni nella zona dell'aeroporto di Juba i 272 morti dei giorni scorsi. Ban Ki-moon (Onu): serve un embargo delle armi.
LEGGI ANCHE Caritas: Paese in macerie, ma la ricostruzione è possibile (Lucia Capuzzi)
LA SCHEDA Sud Sudan, cronologia del conflitto (Matteo Fraschini Koffi)
Sud Sudan verso il cessate il fuoco
COMMENTA E CONDIVIDI
​Il presidente del Sud Sudan, Salva Kiir, ha ordinato il cessate il fuoco immediato dopo giorni di scontri a Juba, capitale del Paese. Anche l'ex leader dei ribelli Riek Machar, oggi vicepresidente, ha chiesto ai suoi di porre fine ai combattimenti. La decisione arriva dopo giorni di sanguinosiscontri nella capitale. Machar ha detto di essere ancora in SudSudan, senza spiegare dove. Anche questa mattina ci sono stati "scontri molto, molto violenti" in città. Sorvolata da elicotteri, Juba è devastata da splosioni e continui scambi di artiglieria in diverse zone, in particolare verso l'aeroporto e nel quartiere di Tomping. I residenti sono barricati dentro casa, migliaia di altri invece hanno preferito tentare la fuga, 10 mila secondo l'Onu. L'ambasciata americana ha parlato di "combattimenti violenti tra governo e forze dell'opposizione". Il bilancio degli scontri è salito ad almeno 272 morti ed è, purtroppo, ancora provvisorio. Le vittime, in maggioranza soldati, includono anche decine di civili ed un peacekeeper cinese. Il capo della sicurezza di una clinica nella base Onu, Budbud Chol, ha detto che "abbiamo vittime civili. Granate con propulsione a razzo hanno colpito la base ferendo otto persone", ha proseguito, spiegando che almeno una persona é morta nella base.La tensione ha ripreso vigore fino a diventare scontro aperto all'indomani del quinto anniversario dell'indipendenza del Sud Sudan. Dal dicembre 2013 è in corso una guerra civile tra i sostenitori del presidente Salva Kir e quelli del vicepresidente Riek Machar, costata la vita a decine di migliaia di persone e che ha causato tre milioni di sfollati.  Tra le ipotesi c'è che una delle parti stia prendendo il sopravvento, mentre ci sono dubbi su quanto Kiir e Machar abbiano reale controllo delle loro milizie. I due, dopo la guerra civile, nell'agosto 2015 firmarono un accordo di pace ma impiegarono mesi a stabilirne i dettagli. Machar è tornato ad aprile a Giuba, in un passo che era ritenuto fondamentale per il ritorno della pace.

L'Onu e la richiesta di Ban Ki Moon. Riunito domenica in emergenza, il Consiglio di sicurezza dell'Onu hachiesto ai "paesi della regione" e all'Unione africana di "discutere con i leader sud-sudanesi per trattare questa crisi". Con una dichiarazione unanime, i 15 Paesi membri del Consiglio di sicurezza hanno chiesto anche al presidente del Sud Sudan, Salva Kiir e al suo rivale, il vicepresidente Riek Machar, di "fare di tutto per controllare le loro rispettive forze e mettere fine ai combattimenti". Mentre oggi il segretario generale Ban Ki-moon ha chiesto al Consiglio di Sicurezza di impèorre un embargo della armi nel Paese. "Abbiamo un bisogno disperato di elicotteri militari e altri mezzi se vogliamo tener fede al nostro mandato di proteggere i civili - ha detto Ban -. E' necessario inoltre che tutti i Paesi che contribuiscono alla missione Onu restino sul campo. Qualsiasi ritiro manderebbe il segnale sbagliato al Sud Sudan e al mondo intero". 

>> Sud Sudan, 5 anni di indipendenza: fame e guerra 

>> Sud Sudan, cronologia del conflitto (Matteo Fraschini Koffi)Un appello è giunto anche dal ministro degli Esteri Paolo Gentiloni. "#Juba. Di nuovo in guerra civile in Sud Sudan. Italia chiede di far tacere le armi" ha scritto in un tweet il capo della diplomazia italiana sottolineando che l'Unità di crisi della Farnesina è "in contatto con i nostri connazionali" presenti nel Paese africano.LEGGI ANCHE Caritas: Paese in macerie, ma la ricostruzione è possibile (Lucia Capuzzi)Gli scontri erano iniziati venerdì nei pressi del palazzo presidenziale dove Machar e Kiir preparavano un comunicato comune su altri incidenti avvenuti il giorno precedente. Gli scontri tra le opposte fazioni sono costati in due anni e mezzo decine di migliaia di morti e hannoprovocato una grave crisi umanitaria in un Paese già poverissimononostante le ingenti riserve petrolifere.Appello della Chiesa in Sud Sudan: si richia il genocidio “In Sud Sudan si rischia il genocidio. Scrivetelo a caratteri cubitali, perché qualcuno della comunità internazionale intervenga prima che sia troppo tardi”. È l’appello lanciato tramite l’agenzia Fides da una fonte della Chiesa in Sud Sudan, di cui l'agenzia ha deciso di omettere il nome per ragioni di sicurezza. “Quando cessano i combattimenti con armi pesanti, iniziano i massacri contro gli appartenenti all’etnia rivale. Lo abbiamo visto troppe volte in altre città del Sud Sudan durante la guerra civile che si credeva conclusa con gli accordi di pace dell’agosto 2015, ma ora i combattimenti sono scoppiati a Juba, la capitale, e si rischia di far sprofondare il Paese in un vero genocidio”, spiegano a Fides le fonti. “Ieri, domenica 10 luglio, è stata una giornata terribile” riferisce la fonte di Fides. “I combattimenti sono scoppiati alle 8,30 del mattino e sono durati fino alle 20 di sera, quando è iniziata a cadere una forte pioggia sulla capitale. Forse il Signore ha avuto pietà e i combattimenti sono cessati. Questa mattina gli scontri sono riesplosi, anche se in questo momento sembra esserci una tregua. Le truppe governative usano armi pesanti e stanno impiegando gli elicotteri per bombardare le posizioni dei ribelli”. “È stato colpito in modo feroce il campo dell’ONU dove sono rifugiate migliaia di persone. Un casco blu cinese è morto, raggiunto da una scheggia di granata”. “Il disastro provocato da politici che non hanno cura del proprio popolo è spaventoso e inimmaginabile” afferma la nostra fonte. “Adesso stanno distruggendo anche la capitale, che era l’unica città rimasta intatta. Non solo con i combattimenti ma anche con i saccheggi che accompagnano e seguono i combattimenti”, afferma la fonte di Fides. “Il nemico è visto come appartenente all’etnia avversaria. Per questo temiamo un genocidio su base etnica”, sottolinea la fonte che conclude: “Non vorrei che un domani i giornalisti siano costretti a scrivere articoli, ormai inutili, sul ‘genocidio sud-sudanese’. Abbiamo ancora la possibilità di impedirlo, ma occorre fare in fretta. Bisogna che la comunità internazionale intervenga, anche con la forza prima che sia troppo tardi”.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: