domenica 22 agosto 2010
Un progetto per aiutare chi rientra a mettere a frutto quanto ha imparato quando viveva in Italia. Le testimonianze del fisico Bukaqeja, del ginnasta Lulaj e del cameriere Brunga.
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C’è un piccolo ufficio a Scutari in rruga Don Bosco cui si accede per una ripida scala. Sulla porta sta scritto "Shtegtaret per zhvillim". Chi bussa, e molti albanesi lo stanno facendo, sarà aperto da due giovani sposi, Mauro Platè e Cristiana Paladini, i responsabili del Progetto "Risorse Migranti" ideato dalle Acli-Ipsia, che si avvale della collaborazione della Caritas Italiana e della Cooperazione del ministero degli Esteri. Hanno capito qui che il migrante, se torna, è una risorsa per l’Albania. Gli albanesi sono i più convinti. Dicono: «Guri i rende ne vendt te vet», la pietra pesa di più sulla propria terra. L’hanno sempre pensata così. «L’idea - spiega Mauro Platè - è quella di valorizzare le competenze di persone che hanno avuto l’occasione, anche da clandestini, di fare esperienza all’estero, specie in Italia e in Grecia. Puntando su questi migranti che rientrano, spontaneamente o perché respinti, si può stimolare la formazione di una cultura imprenditoriale per creare un tessuto più idoneo, magari sul modello Italia». Sua moglie, Cristiana, dalla scrivania accanto, aggiunge: «Questo è il primo passo per lavorare sui loro diritti. Chi ritorna porta per bagaglio quanto all’estero ha raccolto. Chi è vissuto nell’illegalità la riporta in Albania convinto, probabilmente, che è questa la regola. Il progetto, invece, tende alla formazione del lavoratore creando in lui la coscienza dei propri diritti».Dal 1991 al 2005, secondo una stima del National Strategy of Migration, 710mila persone hanno lasciato l’Albania; le loro rimesse nel 2007 ammontavano a 952 milioni di euro con un’incidenza sul pil del 14%. Scutari è stato il distretto più colpito da questa emorragia. Proprio per questo il progetto delle Acli nasce qui e nella vicina Lezhe. Si sviluppa in tre anni. Adesso siamo soltanto nella fase Uno, quello della formazione al piano di impresa. «La prima difficoltà di chi rientra e vuole impiantare in Albania una piccola impresa - spiega Mauro Platè - nasce proprio dalla difficoltà di immaginare un piano imprenditoriale. Qui si dice "intanto partiamo", ma questo è il primo motivo dell’insuccesso». La fase Due del progetto è quella della consulenza e dell’accompagnamento nell’attività della piccola impresa; infine, l’ultima fase, che deve ancora partire, dell’attivazione di bandi per la concessione del credito "start up", vale a dire la somma necessaria per iniziare o per l’acquisto dei primi materiali.Evidente che la partita non si gioca solo tra il migrante di ritorno e questo piccolo ufficio. Anche il "pubblico" è chiamato a fare la sua parte. Fino ad oggi, soltanto il 6% delle persone rientrate percepisce un magro assegno familiare dal governo albanese. «Saranno coinvolti - lo hanno scritto in italiano e in albanese nella presentazione del progetto - gli apparati amministrativi, le autorità locali e imprenditoriali affinché siano in grado di sfruttare le potenzialità rappresentate dai migranti». Sulla scaletta ripida di rruga Don Bosco sono salite già 200 persone. Animate da belle speranze.L'AZIENDA TELEMATICABledar Bukaqeja, 28 anni, esile, il volto sottile e il sorriso ironico. Da noi è un fisico (triennale alla Statale di Milano) con una tesi su "Separazione dei livelli energetici della doppia buca di potenziale per effetto tunnel". In un bell’italiano: «Vuoi che te lo spiego?», e fa per prendersi il taccuino. Qui ha messo su, dopo vari altri tentativi, una piccola azienda telematica: prepara siti internet e dà lavoro a una decina di persone. Fisicamente è a Scutari, ma la sede legale è a Milano. Chi voglia un sito firmato dall’équipe di Bledar  (ne hanno approfittato già molti avvocati, commercialisti e dentisti italiani), può digitare www.easywebitalia.it e sarà servito. Bledar in qualche modo ha mantenuto i contatti con l’Italia. L’altra sua iniziativa, un fono center a Scutari, si serviva di linee italiane e, prima ancora, un call center passava per l’Italia in modo da offrire prezzi più bassi che le compagnie albanesi non permettono. All’Italia lo tiene legato ancora la specialistica. A settembre, infatti, verrà per sostenere un esame in facoltà. Oltre all’abilità con i sistemi telematici (la sua pare una vocazione), Bledar ha la sorprendete capacità di ricordare tutte le date, specie quelli che fanno da contrappunto alla sua parentesi italiana. Arrivò nel nostro Paese il 28 settembre 2002, da allora fino al 2009 (il 23 ottobre per essere scrupolosi) ha fatto mille mestieri. Tutti onesti: trasporto disabili, scarico di pacchi, pizzaiolo e lavapiatti. Una sola volta ha fatto il furbo, e confessa: «A Roma Termini presi una birra e un panino. Il barista non staccò lo scontrino. Il treno non veniva più. Dopo un’oretta mi ritornò la fame. Presi con lo stesso scontrino un’altra birra e un altro panino». Tolto il peso. Perché i Bledar  non sono ancora tanti in Albania? «Ai miei amici, ai ragazzi della mia età  - dice l’ironico fisico - manca la conoscenza, il know how. Pensano con il "copia e incolla". Fatto un bar, se ne fa un altro, e un altro ancora». Ha ragione. Basta guardarsi intorno. Per tutte le strade dell’Albania è un bar dopo un altro.LA TRATTORIA A KRAJENÈ proprio come ognuno si immagina un tedesco: alto, biondo e gli occhi azzurri. Zef Brunga parla anche bene il tedesco. L’ha imparato a Tremosine del Garda, nell’albergo dove ha lavorato per anni, frequentato da teutonica clientela. Quando fu pronta la struttura di legno che ospita il "Bar Tratori Zefi", sul rettilineo di Blinisht su cui le auto corrono veloci, dispose che sul tetto fosse innalzata la bandiera tedesca accanto a quella albanese. «Perché?» gli chiese la giovane moglie Marte. E lui: «Aspetta e vedrai!». Si accomodò a un tavolino e di lì a poco, in una nuvola di polvere, arriva e parcheggia una Bmv targata Dusseldorf. Un willkommen e sorrisi negli occhi dei primi clienti. Dice Zef: «L’Albania comincia a essere meta turistica. Il tedesco lo conoscono pochi. Io sono tra questi…». Insomma, punta su una clientela tedesca? Si destreggia: «Ma no. Ho anche altre bandiere!».Zef ha 23 anni. Gli occhiali gli danno un’aria intellettuale, ma in realtà ha sempre lavorato sodo, da quando ne aveva nove. Aiutava suo padre in campagna. Un anno dopo si dà da fare in un negozio di alimentari a conduzione familiare: «Sono cresciuto - spiega - con l’idea di gestire una impresa personale senza dipendere da un datore di lavoro. Per questo, quando ho potuto, ho aperto questa trattoria». Zef era minorenne quando arrivò in Italia. Clandestino. Maggiorenne è diventato nel nostro Paese, sempre lavorando: «Nei cinque anni che sono stato in Italia avrò fatto forse una sola settimana di vacanza». Imbianchino, venditore di mobili, tuttofare nell’albergo sul Garda: «Ho solo lavorato - dice - e in Italia sono stato non bene, ma benissimo». Zef è uno di quei giovani che ha aderito al progetto delle Acli. L’inventiva però (bandiera tedesca compresa) è sua. «Tutto quello che sfrigola là sopra - dice indicando la brace cui è intento il padre - è stato allevato nella nostra fattoria: polli e maiali. Punto sulla qualità, sulla quantità e sul prezzo».In Italia non bene ma benissimo, tuttavia Zef è ritornato. «È presto detto - spiega - il cuore lo avevo lasciato qui. L’Italia non mi ha dato ricchezza. Sono ritornato con pochi euro. Però mi ha dato la cultura del lavoro che qui in Albania, tutto sommato, manca ancora».IL COSTRUTTOREIl nome resta albanese, ma Leonard Lulaj ora è cittadino italiano. Più integrato di così? Eppure ha deciso di ritornare in Albania. Leonard Lulaj ha 43 anni, è sposato, ha due bambini piccoli. È stato tra i primi ad arrivare in Italia, con un visto turistico nel 1992. Anche fortunato: erano gli anni in cui in Italia si veniva sfidando la sorte con i gommoni. Ora sembra un sollevatore di pesi, Leonard invece è stato per sette anni, nell’era di Hoxha, campione nazionale di ginnastica artistica. Mostra un biglietto da visita: presidente della Federazione albanese di Ginnastica, e anche in Italia, tra i tanti mestieri, ha allenato ragazzi agli anelli e alle parallele, ma ha raccolto anche olive, ha fatto il massaggiatore e il lavapiatti. Con l’Italia non ha rotto i ponti e non ha intenzione di romperli. Paga l’affitto dell’appartamento di Roncaglia nel Padovano, dove vivono il padre Pieter e la mamma Persa, e in Italia conta di mandare a studiare i figli. In Albania gli appartamenti invece li costruisce, e mostra un palazzone ancora in ossatura che si scorge dalla finestra. Intanto tira fuori un altro biglietto: Leonard Lulaj, general administrator della Sky 07 Construction. E ha avuto anche il tempo di laurearsi in legge a Tirana. Sky 07 è pure il nome della palestra di Scutari, e un terzo bigliettino riporta le specialità: dance, fitness, è anche aerobic e altro ancora. A Leonard piace sky, il cielo: «Perché il mio cielo - spiega - si è aperto nel 2007 quando sono ritornato». L’intuito dell’imprenditore ce l’ha tutto. Il suo motto è: «Dove c’è miseria ci sono i soldi», perché in un Paese dove tutto è da costruire, come in Albania, c’è bisogno di costruttori. E spiega: «In Italia c’è già tutto. Cosa potevo costruire?».
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