giovedì 7 dicembre 2023
Poco prima del voto, al G7 il presidente aveva detto: senza quei soldi faremo «il più bel regalo a Putin, che non si fermerà e punterà ai paesi Nato
Un cartello di ringraziamento a Biden esposto a Gerusalemme

Un cartello di ringraziamento a Biden esposto a Gerusalemme - Reuters

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Come avevano annunciato, i repubblicani del Senato hanno bloccato il pacchetto di aiuti militari per Ucraina, Israele e Taiwan, sostenendo che bisogna rafforzare la parte destinata alla sicurezza del confine. Il voto aumenta la possibilità che il Congresso non riesca ad autorizzare i 61 miliardi di dollari di aiuti a Kiev entro la fine dell'anno, come ha chiesto di fare la Casa Bianca avvisando di aver finito i soldi a disposizione per sostenere Kiev contro l'invasione russa.
Le regole del Senato impongono che per far andare una legge al voto è necessario che prima passi una votazione procedurale con almeno il voto di 60 senatori. Oltre ai 61 miliardi per l'Ucraina, il pacchetto contiene 10 miliardi per sostenere Israele nel conflitto con Hamas, cosa che ha spinto il senatore liberal, ed ex candidato alla Casa Bianca, Bernie Sanders a votare contro, affermando che non è possibile continuare a firmare "assegni in bianco" al "governo di estrema destra" di Benjamin Netanyahu mentre il numero delle vittime civili a Gaza continua a salire. "Quello che il governo di Netanyahu sta facendo è immorale, è una violazione delle leggi internazionali e gli Stati Uniti non dovrebbero essere complici di queste azioni", ha dichiarato Sanders.


Un’interruzione degli aiuti all’Ucraina «sarebbe il più bel regalo a Vladimir Putin» e forse, è sottinteso, anche a Donald Trump. Joe Biden è alle strette e sfoga la sua frustrazione prima in un discorso tv dalla Casa Bianca, poi in videoconferenza agli alleati del G7, convocato d’urgenza dal premier giapponese Fumio Kishida: «Se Putin prende l’Ucraina, non si fermerà lì, minaccerà i nostri alleati della Nato», ha detto il presidente Usa. Poche ore prima del previsto esisto del voto in Senato.
Ma il messaggio, in entrambi i casi, è rivolto ai repubblicani al Senato, la sua spina nel fianco, che con un nuovo no agli aiuti a Kiev minacciano di far naufragare il suo più incontestato successo di politica estera: impedire alla Russia di dichiarare vittoria in Ucraina e indebolirla. «Se gli Stati Uniti non sostengono l’Ucraina, chi lo farà? Se noi molliamo, come faranno i nostri amici europei ad aiutare Kiev? Il mondo ci guarda», si è chiesto il capo della Casa Bianca. In effetti le urla alla Camera alta americana sono finite su tutti i giornali, così come l’annullamento, all’ultimo minuto, di un previsto intervento in video di Volodymyr Zelensky con i senatori.
Il presidente ucraino ha fatto marcia indietro per non perdere la faccia, o i repubblicani l’hanno snobbato? In ogni caso, anche ieri sera i leader del partito conservatore restavano determinati a bloccare, con un voto procedurale, la misura proposta dal presidente Usa, con i 61 miliardi di aiuti militari all'Ucraina. Il motivo? Il pacchetto non include le loro richieste per ridurre il flusso di immigrati e richiedenti asilo. Il giorno prima i senatori del Gop, guidati da Tom Cotton, tra grida e proteste avevano contestato ai democratici di voler parlare solo di Ucraina e non di limiti al diritto di asilo per chi entra per questioni umanitarie (misura che i democratici hanno respinto).
Ieri dunque, mentre il governo americano faceva sapere che, senza l’intervento del Congresso, «entro la fine dell’anno» esaurirà le risorse per armare Kiev, al posto di Zelensky, sono stati ricevuti a Washington il suo capo dello staff Andriy Yermak, il ministro della Difesa Rustem Umerov e il presidente del Parlamento Ruslan Stefanchuk. Tutti e tre hanno incontrato lo speaker della Camera Usa, Mike Johnson, e rinnovato la «disponibilità» dell’Ucraina ad attuare tutte le riforme richieste dai repubblicani per ridurre la corruzione e rafforzare lo stato di diritto. Più tardi Zelensky ha ribadito al G7 che la Russia spera proprio che l'unità del mondo libero crolli e che «l’America e l’Europa si mostrino deboli e non mantengano il sostegno all’Ucraina a un livello adeguato».
Il braccio di ferro al Senato Usa dimostra in effetti che, dopo 650 giorni di guerra, gli Stati Uniti mostrano segnali di stanchezza, ma anche che il conflitto è diventato un punto scottante della campagna elettorale.
Biden infatti vede il confronto con il Gop al Senato come un assaggio dello scontro in vista alle elezioni del prossimo novembre con il loro leader, Trump. Per questo non intende mollare: «Il mancato sostegno all’Ucraina è folle, è contro gli interessi degli Stati Uniti», ha detto ieri il presidente, per poi assicurare che riuscirà a trovare il denaro per Kiev e che sconfiggerà Trump.
«Se Trump non si candidasse non sono sicuro che mi presenterei», ha ammesso l’anziano Commander in chief, che vede la sua candidatura come un obbligo: «I democratici non possono lasciarlo vincere», ha insistito, ricordando che recentemente il tycoon ha parlato dei suoi nemici politici come di «parassiti», con un linguaggio usato da dittatori come Hitler e Mussolini.

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