sabato 4 maggio 2019
Il Senato approva la norma che alza il limite, prima a 16 anni. Ma l’opposizione islamista complica il passaggio in Aula
Una bimba di 7 anni nel retro di un camion dopo il matrimonio in India (foto archivio Ap)

Una bimba di 7 anni nel retro di un camion dopo il matrimonio in India (foto archivio Ap)

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Lunedì scorso, dopo oltre tre mesi dalla presentazione, il Senato del Pakistan ha approvato una legge che di fatto emenda quella che ha finora regolato le questione matrimoniale e prevedeva un’età minima di 16 anni per l’unione legale. Il limite è ora esteso a 18 anni, in sintonia con una sensibilità in evoluzione ma anche con le legislazioni di diversi altri Paesi musulmani, tra cui Turchia, Egitto e Bangladesh.

Il provvedimento, che esplicitamente «riduce il rischio del matrimonio infantile prevalente nel Paese e salva la donna dallo sfruttamento», era stato proposto a gennaio dalla senatrice Sherry Rehman, da tempo finita nel mirino dei fondamentalisti per la sua posizione critica verso la legge antiblasfemia al punto da essere stata costretta nel 2011 a lasciare il Paese, assegnata dall’allora partito di governo, il Pakistan People Party che in passato fu di Benazir Bhutto, alla sede delle Nazioni Unite a New York come ambasciatrice e in seguito indagata proprio per blasfemia.

Le pene previste per i trasgressori prevedono fino a tre anni di prigione e un’ammenda di almeno 100mila rupie (630 euro). Un severità che ha trovato un Senato pressoché compatto con soli cinque voti contrari alla legge su 104, ma con l’astensione del partito di governo il Pakistan Tehreek-e-Insaf. La forte opposizione islamista al provvedimento rischia di rendere la misura almeno in parte inefficace e il suo passaggio all’Assemblea nazionale per la definitiva approvazione quanto meno arduo. Se la posizione dei sostenitori è di rendere coerente l’età minima per il matrimonio con i 18 anni necessari a ottenere una carta d’identità nazionale, gli oppositori segnalano un possibile contrasto con la legge coranica (che consente il matrimonio dalla pubertà) e la mancanza di consultazione con i leader religiosi islamici.

Alla sua presentazione all’Assemblea martedì, anche due ministri, quello per gli Affari religiosi e quello per gli Affari parlamentari hanno votato contro, come già avevano fatto al Senato, e chiesto di chiedere un parere del Consiglio per l’Ideologia islamica anziché discuterlo in sede di commissione. A chiarire le difficoltà della sua discussione, il fatto che al dibattito introduttivo della legge all’Assemblea nazionale il 30 aprile, solo il Pakistan People Party ha votato compatto per la discussione del provvedimento, mentre tutti gli altri gruppi presenti nell’assemblea si sono divisi sulla sua opportunità.

Il confronto sull’età matrimoniale ha per le minoranze un’ulteriore valenza. Se approvato l’innalzamento a 18 anni, si negherebbe ulteriore legittimità ai matrimoni forzati in età minorile che sono un incubo per le giovani donne di fede cristiana, indù e ahmadiyya. La conversione, infatti, rende vano ogni impegno a far rientrare la “sposa” nella famiglia d’origine, salvo sia stata provata la costrizione al passaggio all’islamismo, ma la conversione non è abitualmente considerata valida anche dai tribunali islamici se al di fuori dell’età legale.

Alzare questa età in sostanza rende reato ogni imposizione al matrimonio per donne al di sotto dei 18 anni. A confermarlo anche Nasir Saeed, a capo del Centre for Legal Aid, Assistance and Settlement (Claas), organizzazione impegnata nella difesa dei cristiani perseguitati in Pakistan: «L’approvazione della legge è molto positiva, tuttavia la sua attuazione sarà altrettanto importante e se il governo mancherà di renderla efficace come stato in passato per altre leggi, pochi ne beneficeranno. In particolare tra le minoranze, dove è radicata la paura che le loro figlie vengano rapite, costrette alla conversione e a sposare contro la propria volontà i sequestratori».

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