Chi rimuove le macerie a Gaza ha un'unica certezza: ci vorranno anni

Servirà tempo fino al 2032 per sgombrare strade e case dai detriti, secondo l'ultima rilevazione dei tecnici Undp sul campo. Ma c'è chi parla addirittura di almeno un paio di decenni necessari per mettersi alle spalle la distruzione. Il problema è che i mezzi per le operazioni sono pochi, i permessi limitati e i rischi da correre ancora elevati
December 29, 2025
Chi rimuove le macerie a Gaza ha un'unica certezza: ci vorranno anni
Cumuli di macerie a Rafah, nel sud della Striscia di Gaza, all'inizio di dicembre / Reuters
Una quantità equivalente a circa 8.400 camion colmi di macerie è stata rimossa nel corso del 2025 nella Striscia di Gaza. Si tratta di 225.000 tonnellate di detriti movimentati e raccolti che sembrano, però, briciole se paragonate ai 57,5 milioni accumulati e che oggi si stima ingombrino strade, quartieri e in generale il territorio dell’enclave.
Sono i dati aggiornati sulle operazioni di smaltimento di quanto è stato raso al suolo o gravemente danneggiato in due anni di guerra, contenuti nell’ultimo Debris Management Situation Report diffuso il 19 dicembre dal Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (Undp). Per il ministero della Salute e la Protezione Civile di Gaza sarebbero circa 10.000 le persone ancora sepolte là sotto. Alcune valutazioni preliminari che risalgono al settembre 2024 ipotizzavano fino a vent’anni di lavoro per rimuovere le macerie. I team tecnici di Undp sul campo hanno invece stimato, il mese scorso, che «la maggior parte dei detriti potrebbe essere rimossa entro sette anni, ma solo alle giuste condizioni. Ciò richiede accesso senza ostacoli ad aree prioritarie, permessi per macchinari pesanti e attrezzature specializzate, un ingresso costante di carburante e, soprattutto, un ambiente operativo stabile».
Per il report di Undp, sono quasi un’ottantina i macchinari pesanti all’opera, tra cui trenta ruspe, cinque gru, poi escavatori, frantumatrici, compattatori e camion. Al momento si è riusciti a sgombrare tre moschee, nove scuole, alcuni pozzi d'acqua, depositi e il complesso medico di Al Shifa. Novantuno chilometri di strade che erano ostruiti sono tornati ora percorribili. L’impegno nella gestione dei detriti prevede anche che questi poi vengano reimpiegati. Sono poco più di 43.900 le tonnellate di macerie riutilizzate e consegnate a partner come World Central Kitchen, Unicef, Programma Alimentare Mondiale, Comitato internazionale della Croce Rossa e altri, ma anche alle comunità di quartiere per venire impiegate, ad esempio, nel ripristino della pavimentazione stradale, nelle basi dei rifugi e per costruire barriere per la gestione dell'acqua piovana.
Intervenire sui cumuli di detriti significa anche correre il rischio di imbattersi in ordigni inesplosi. Le Nazioni Unite riferiscono che ogni settimana nell'enclave si registrano incidenti provocati da materiale bellico. Il 18 dicembre, solo per citare gli ultimi casi, tre incidenti del genere hanno causato vittime e feriti: il primo a Jabaliya, il secondo nel quartiere di Ash Sheikh Radwan, a nord-ovest di Gaza City, e il terzo nel campo di Al Nuseirat a Deir al Balah, in cui sarebbe morto un bambino. Quotidianamente, negli aggiornamenti dell’Ufficio Onu per gli affari umanitari Ocha, si dà conto delle diverse operazioni di valutazione del rischio contestuali agli sforzi di rimozione delle macerie. Dall'ottobre 2023, l'Unmas, il Servizio delle Nazioni Unite per l'azione contro le mine, ha accompagnato più di ottocento missioni umanitarie in tutta Gaza e condotto oltre 650 analisi del rischio in ospedali, scuole, strade, rifugi e altre infrastrutture. L’8 dicembre Julius Vanderwalt che guida il Mine Action Programme di Unmas nei Territori Occupati Palestinesi ha sottolineato che «le dure condizioni di vita costringono le famiglie a rifugiarsi in aree pericolose, aumentando drasticamente la loro esposizione ai rischi di esplosione», e ha aggiunto che «la popolazione si ferisce anche solo mentre raccoglie beni di prima necessità come legna da ardere».

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