sabato 9 dicembre 2023
Da Rafah il coordinatore di Medici Senza Frontiere: «Impossibile accogliere altri sfollati. Tagliamo gli ultimi alberi per far spazio alle tende». E intanto Hamas minaccia Israele
Bambini palestinesi feriti negli attacchi israeliani

Bambini palestinesi feriti negli attacchi israeliani - reuters

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«Oggi a Gaza ci sono due dei cavalieri della apocalisse: il conflitto, ovviamente, ma anche le malattie. E non potrà che peggiorare». Il britannico Martin Griffith non è tipo da usare parole a caso. Con una carriera da diplomatico di Sua Maestà, è il coordinatore degli aiuti di emergenza dell’Onu. Ed è lui a lanciare un disperato appello, perché la “bomba Gaza” è pronta a esplodere, travolgendo anche confini lontani. Il piano umanitario «è a brandelli», perché non c’è più «alcun posto sicuro nel sud di Gaza, che era stata una pietra angolare del piano umanitario per proteggere i civili e fornire loro aiuti».

Una bomba politica e umanitaria: 2 milioni di persone spinte in un fazzoletto di terra, senza poter più scappare. Il fuoco israeliano colpisce da tre lati, l’unico libero è il valico di Rafah verso l’Egitto, che però il Cairo ha chiuso temendo di dover affrontare l’esodo palestinese.

Gaza è un rompicapo geopolitico, una tragedia umanitaria, uno scontro per la sicurezza di Israele e la distruzione di Hamas. Ma la sorte della Striscia sta mettendo tutti contro tutti, mentre la popolazione deve fare i conti con le migliaia di morti, le decine di migliaia di feriti, gli aiuti umanitari che non bastano e la cancellazione di ogni possibilità di sviluppo economico.

Il voto al Consiglio di sicurezza dell’Onu ha spaccato i fronti diplomatici e riavvicinato intorno al destino dei civili palestinesi Paesi di estrazione islamica che di solito diffidano gli uni degli altri. Abu Mazen, il presidente dell’Autorità nazionale palestinese (Anp), accusa Washington di aver preso, dopo tutti i falliti tentativi di far ragionare Netanyahu, una posizione «aggressiva e immorale». Per il capo dell’Anp, il cui consenso interno è al minimo storico, gli Stati Uniti sono «complici nei crimini di genocidio, pulizia etnica e crimini di guerra commessi dalle forze di occupazione israeliane contro i palestinesi nella Striscia di Gaza, in Cisgiordania e a Gerusalemme».

E l’Iran che finora aveva condannato Israele, evitando però di farsi trascinare da Hamas nella contesa, è passato a un lessico che preannuncia l’intensificazione delle operazioni di Hezbollah in Libano e dei guerriglieri Houthi in Yemen. «Gli Stati Uniti, come alleati di Israele, hanno dimostrato ancora una volta di essere il principale attore e responsabile dell’uccisione di civili e della distruzione delle infrastrutture a Gaza», ha detto il portavoce del ministero degli Esteri iraniano, Nasser Kanan: «Le autorità americane, che esprimono finta preoccupazione per la vita dei civili a Gaza – è l’accusa –, hanno consegnato la settimana scorsa la 200ma spedizione di aiuti militari a Israele». Perciò «gli americani e i sionisti saranno responsabili delle conseguenze di un eventuale allargamento della guerra nella regione», ha preannunciato.

Ma Israele chiede la testa del segretario generale dell’Onu, il cui appello «a stare dalla parte di Hamas e chiedere un cessate il fuoco è una vergogna e costituisce un segno di Caino per l’Onu» ha insinuato il ministro degli Esteri Eli Cohen. Israele sta facendo pressioni perché Guterres lasci, un’ipotesi che getterebbe nel caos le Nazioni Unite.

Rivolgendosi ai 15 membri del Consiglio di sicurezza, il segretario generale aveva evocato il rischio di un punto di non ritorno: «Le condizioni per l’effettiva consegna degli aiuti umanitari non esistono più. Gli intensi bombardamenti, le restrizioni israeliane ai movimenti, la carenza di carburante e le comunicazioni interrotte rendono impossibile per le agenzie delle Nazioni Unite e i loro partner raggiungere le persone. Anche il sistema sanitario sta crollando».

E dal terreno non arrivano buone notizie. Israele combatte fino a Khan Yunis, nel sud della Striscia. Le vittime sono salite a 17.700, i caduti israeliani a 97. Nicholas Papachrysostomou, coordinatore dell’emergenza a Gaza per Medici Senza Frontiere (Msf), avverte dell’impossibilità di accogliere nuovi sfollati, già oltre 1 milione (su poco più di 2 milioni di abitanti della Striscia) ammassati nel Sud dove già viveva 1 milione di persone.

«Nel nostro quartiere – racconta da Rafah, sul confine egiziano dove oramai non vengono più scambiati ostaggi – gli ultimi alberi vengono tagliati perché la gente ha bisogno di legna da ardere o di spazio per montare ancora più tende. Ho lavorato nei campi profughi più affollati, ma non ho mai visto così tante persone, così tanti bambini per strada come adesso».
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