martedì 26 luglio 2011
L'Acnur riesce a registrare la metà dei 1500 somali che ogni giorno fuggono dalla carestia e si riversano in Kenya.
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Le lacrime continuano a scorrere a Dadaab, da diverse settimane il più affollato campo di rifugiati al mondo. In questa fetta di terra nel Nord-Est del Kenya, che copre un’area grande quanto la città di Firenze, sono oltre 400mila i profughi che hanno deciso di lasciare la Somalia per stanziarsi a Dadaab a tempo indeterminato. Molti di loro sono scappati dalla guerra civile somala iniziata nel 1991. Altri, arrivati da aprile in poi, hanno dovuto affrontare le terribili conseguenze della più grave carestia degli ultimi sessant’anni prima di emigrare verso il Kenya. Nella periferia di Ifo, una delle tre sezioni del campo di Dadaab, una giovane donna somala di nome Hawa prende una bambina dall’interno di una tenda fatta di stracci e rami secchi. «È così da quando è nata purtroppo», spiega Hawa ad Avvenire mentre scopre la parte superiore del corpo minuto di sua figlia, Amina. «Voglio che la stampa veda e mostri al mondo quello che sta succedendo ai nostri figli». Amina è magrissima, ha delle escoriazioni sulla pelle e presenta un’apparente malformazione congenita al capo. A tre anni non riesce ancora a camminare. «L’ho portata più volte alla clinica di Medici senza Frontiere ma non mi hanno saputo dire niente – continua la madre – Ogni volta mi congedano senza dirmi come posso salvare mia figlia. Se non troverò presto una soluzione, sono sicura che Amina morirà». Hawa è uno dei profughi appena arrivati e che devono ancora essere registrati dall’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Acnur). Come lei, ce ne sono almeno altri 35mila fuori dal campo, in attesa di avere i propri diritti riconosciuti. In quest’area particolare, lontana dalle recinzioni e dalla protezione della polizia keniota, è più facile rimanere vittime di rapimenti, attacchi o stupri da parte dei banditi. «Stiamo facendo il possibile per registrare tutti», afferma Salim, operatore dell’Acnur mentre supervisiona i suoi colleghi alle prese con centinaia di profughi a cui prendono le impronte digitali e scattano fotografie. «In media riusciamo a ricevere ottocento persone al giorno, e quelle che non riusciamo a registrare – continua l’operatore – si aggiungono alle altre decine di migliaia in attesa. È una situazione disperata». La carestia che, secondo i dati dell’Onu persevera in almeno due delle dieci regioni somale, sta producendo un altissimo flusso migratorio all’interno della Somalia, oltre ai 1.500 disperati che ogni giorni raggiungono il Kenya. L’emergenza ha però colpito anche diverse aree in Etiopia, Gibuti, Kenya e Uganda. L’incontro nel quartier generale a Roma dell’Organizzazione per il cibo e l’agricoltura (Fao), dovrebbe trovare delle soluzioni a una crisi che potrebbe diventare «lo scandalo del secolo», ammette Bruno Le Maire, ministro francese per l’Agricoltura. I ribelli qaedisti somali dell’al-Shabaab – dopo aver imposto il divieto di distribuire aiuti nelle zone da loro controllate – hanno fatto una piccola marcia indietro e hanno permesso alla Croce Rossa di soccorrere 24mila persone. Il Programma alimentare mondiale (Pam) ha dichiarato: «Entro dieci giorni ricominceranno le operazioni del Pam in Somalia». In alcune zone di questa, però, ha iniziato a piovere e, secondo fonti locali, diverse famiglie stanno desistendo dall’idea di emigrare in Kenya dove li attenderebbe un futuro da profughi.
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