venerdì 29 ottobre 2010
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La paura di Sarah, costretta a non rivelare né il suo vero nome né la sua professione per paura di rappresaglie, la si vede negli occhi e la si sente nella sua voce. Sarebbe subito uccisa se fosse scoperta a parlare con la stampa, soprattutto quella occidentale. Al convegno «Pace: non possiamo più aspettare», organizzato a Nairobi da Cospe e Iida, due Organizzazioni non governative che si occupano di donne somale, Sarah racconta ciò che ha vissuto negli ultimi tre anni, da quando la Somalia è diventata vittima dell’estremismo islamico giunto con la ribellione degli shabaab, il più brutale gruppo di insorti somali. «Viviamo con la paura di essere ammazzate se le nostre vesti non sono abbastanza pesanti e lunghe» dice quasi stizzita, raccontando la situazione nella Somalia centro-merdionale, sotto il completo controllo di al-Shabaab «Abbiamo il timore di essere accusate ingiustamente di adulterio e, per questo, lapidate in pubblico. Ma la nostra più grande paura – spiega Sarah abbassando gli occhi – è che i nostri figli siano reclutati dai ribelli e rimangano uccisi in guerra». La Somalia sta rischiando di diventare l’Afghanistan del Corno d’Africa, dove qualche centinaio di estremisti islamici detta legge secondo la più cruda versione della sharia, la legge islamica. La cultura clanica somala, sebbene avesse già una visione piuttosto dura nei confronti della donna, non aveva ancora vissuto una “talebanizzazione” della condizione femminile. Ma dalle ceneri che l’estremismo islamico produce quotidianamente in Somalia, un movimento è nato per garantire una documentazione precisa di tutti gli abusi inflitti dai ribelli alle donne somale in attesa di giustizia. La “Somali women agenda” (Swa), un movimento che raccoglie diverse associazioni di donne somale, è sorta nel 2007 e «sta riscontrando diversi successi», spiega Hibo Yassin, direttrice italo-somala dell’ufficio a Nairobi di Cospe, una Ong italiana che da anni sostiene le donne somale: «Oltre ad aver ottenuto una forte rappresentanza nella scena politica somala, abbiamo portato le nostre richieste al tavolo dei rappresentanti dell’Unione Europea che sembrano decisi ad aiutarci in questo difficile cammino». Insieme a Cospe, sono parte di questo progetto anche i membri di Iida, un’organizzazione umanitaria che da quando è nata nella capitale somala Mogadiscio, con l’inizio del conflitto civile nel ’91, promuove i diritti politici, economici e sociali delle donne somale. «Nonostante i diversi ostacoli, siamo sempre più convinte della nostra missione», afferma Mariam Yassin Hagi, direttrice di Iida: «Vista la delicatezza del nostro lavoro, infatti, la principale preoccupazione è nascondere l’identità delle nostre colleghe somale che quotidianamente rischiano la vita per una Somalia migliore».
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