giovedì 16 novembre 2023
Con 179 voti a favore e 171 contrari, il Parlamento spagnolo ha concesso la fiducia al leader socialista
Il leader socialista Pedro Sánchez

Il leader socialista Pedro Sánchez - Ansa

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Con 179 voti a favore e 171 contrari il Parlamento spagnolo ha concesso la fiducia al leader socialista Pedro Sánchez che, per la terza volta nella sua vita politica, è eletto a capo del governo. Un voto che conferma l'intesa sull'amnistia tra il Psoe e gli indipendentisti catalani, scelta che sta dividendo fortemente il Paese.


«In Spagna, chi resiste, vince », disse lo scrittore Camilo José Cela alla cerimonia di consegna del prestigioso premio Príncipe de Asturias nel 1987. Trentasei anni dopo, Pedro Sánchez ha trasformato l’affermazione in strategia politica. Il leader socialista ha tenuto testa al crollo del suo partito alle amministrative di maggio. Ha sopportato, poi, la sconfitta alle politiche del 23 luglio da lui stesso convocate nell’intento – riuscito – di sparigliare le carte. Per quasi quattro mesi ha atteso in silenzio che la mancanza di una maggioranza parlamentare rendesse vana la vittoria del popolare Alberto Núñez Feijóo. E, nel frattempo, ha dedicato ogni sforzo a costruire una coalizione di forze progressiste e autonomiste. Inclusa l’ala dura dell’indipendentismo catalano: Junts, il cui rappresentante è latitante in Belgio in seguito all’intento secessionista del 2017. I sette voti della formazione erano indispensabili per ottenere la fiducia dalle Cortes con 179 consensi, tre in più della soglia minima richiesta. Per aggiudicarseli, Sánchez ha siglato un accordo che prevede l’amnistia per 300 esponenti separatisti condannati o inquisiti. Nonché l’avvio di un negoziato politico per risolvere la “questione catalana” con un supervisore internazionale. Il premier uscente ha di nuovo resistito all’ondata di manifestazioni scatenate dalla destra – i conservatori del Pp e, soprattutto, gli ultrà di Vox – contro l’intesa.

Ieri, finalmente, s’è presentato di fronte al Parlamento per incassare il via libera al “Sánchez-ter”, puntualmente arrivato. Nel discorso di un’ora e quaranta minuti – il terzo più lungo dal 1979 – ha detto tutto quello che ha dovuto tacere nei lunghi mesi di silenzio mediatico. In particolare, ha affrontato di petto – anche se dopo un preambolo di quaranta minuti – il nodo più spinoso cioè l’amnistia. Il provvedimento è una concessione indispensabile per formare il governo: «Le circostanze sono quelle che sono», ha ammesso, tuttavia «si deve fare di necessità, virtù». «La ricetta dei popolari ha portato al disastro in Catalogna. Noi scommettiamo sul dialogo e il perdono», ha dichiarato tra i mormorii dei deputati di Vox e Pp. Al pari della campagna elettorale, il socialista ha presentato se stesso e l’esecutivo che aspira a formare come l’argine alla “marea nera” della destra radicale. «Dobbiamo continuare a governare per evitare l’ondata reazionaria, ha affermato. L’amnistia, nell’ottica proposta da Sánchez è il prezzo – accettabile, ha ribadito poiché non si tratta di una «attacco alla Costituzione » bensì «la dimostrazione della sua forza» – da pagare per realizzare un «programma ambizioso », dettagliatamente illustrato. A partire da alcune misure innovative come la gratuità del trasporto pubblico per giovani e anziani, la riduzione dei tempi di attesa nel sistema sanitario, della settimana lavorativa, il taglio dell’Iva e la rivalutazione del salario minimo. Un intervento «delirante» l’ha definito il rivale Feijóo nella replica al vetriolo. «L'amnistia non migliora la convivenza, la distrugge», «questo governo nasce da una frode elettorale » poiché «prendere decisioni contro l’interesse generale per vantaggi personali è corruzione politica», ha accusato.

Per questo, Sánchez «sarà ricordato come il premier della divisione: la storia non l’amnistierà ». Ancora più dura la risposta del rappresentante di Vox, Santiago Abascal che punta a cavalcare il fronte anti-amnistia. «L’unica poltrona che merita – ha detto al leader socialista – è quella di imputato in un processo». Contro questo «colpo di Stato» – ha aggiunto – la Spagna è scesa in piazza in modo pacifico. «Se, però, la protesta diventasse violenza, con che legittimità potrebbe impedire un assedio del Parlamento?». Una minaccia nemmeno troppo velata. Riuscirà “Sánchez l’intramontabile” ad prolungare la strategia della resistenza per la prossima legislatura?

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