lunedì 2 ottobre 2023
In Slovacchia vince l’ex premier filo-Putin Robert Fico e negli Stati Uniti per fermare la paralisi amministrativa spariscono dal bilancio gli otto miliardi per Kiev. Il vertice Ue per "contarsi"
Il vincitore delle elezioni in Slovacchia Fico

Il vincitore delle elezioni in Slovacchia Fico - ANSA

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Due voti quasi simultanei e a distanza di migliaia di chilometri, uno politico e l’altro popolare, rischiano di avere un effetto collaterale comune: l’indebolimento dell’Ucraina. In Slovacchia l’ex premier (che mai aveva nascosto le simpatie per Vladimir Putin, il quale, dicono molti osservatori, non gli ha negato neanche in queste settimane squadre di “troll” pronte a condizionare le ricostruzioni sulle responsabilità della guerra ucraina), ha vinto seppure non “a valanga” le elezioni politiche: al centro della sua campagna lo stop immediato agli aiuti militari a Kiev, il blocco ai migranti provocati anche da quella crisi e l’avvio di trattative con il Cremlino su basi ben diverse da quelle attuali. Tema che per primo ha sottolineato mentre si concretizzava la vittoria, senza però una maggioranza.
Insomma, né più né meno la posizione della spina nel fianco europeo che si chiama Viktor Orbán e che per primo si è affannato a complimentarsi con lo slovacco.

Elemento di rottura della stessa Ue che ha espresso l’avversario di Fico, il liberale Michal Simecka, come vicepresidente dell’Europarlamento e che ora si troverà all’opposizione. Per governare Fico avrà bisogno però di alleati con quel 23 per cento di consensi raggranellati, magari l’ex architetto del suo partito Peter Pellegrino giunto terzo nel voto di ieri a Bratislava. Di fatto con Orbán ora rappresenterà quel nucleo fondativo di una nuova “Visegrad anti-Ucraina”, dopo quella populistica contro l’Unione Europea. Proprio per questo il vertice dei ministri degli Esteri Ue era stato programmato da tempo per oggi a Kiev, per rimarcare l'unità dell'Unione che sta traballando. Non dimentichiamo poi che tra due settimane si voterà anche a Varsavia. Proprio la Polonia in questi mesi sulla questione delle armi da inviare a Zelensky si è spaccata, aprendo un fronte di ostilità all’interno di quella Unione che già le contesta violazioni dello stato di diritto.

Attraversando l’Oceano, sabato notte in Campidoglio a Washington è andato invece in scena il salvataggio in extremis dell’America dal temutissimo shutdown, la paralisi amministrativa a stelle e strisce. Il capogruppo alla Camera McCarthy ha allungato il brodo, diluendo il testo iniziale della legge di bilancio e sfrondando spese in modo da venire incontro ai desideri di una parte del suo partito repubblicano che fa capo ai Maga (Make America great again) e cioè allo sfidante di Joe Biden per il ritorno alla Casa Bianca: Donald Trump. Per passare prima alla Camera e poi al Senato la legge si è alleggerita ulteriormente della zavorra da 8 miliardi di dollari che costituivano i prossimi aiuti a Volodymyr Zelensky. Dei 24 miliardi totali che Biden vuole inviare prima delle elezioni dell’anno prossimo negli Usa. Il presidente dice di avere un accordo con McCarthy per inserire il primo assegno per Kiev in una legge ad hoc nei prossimi 45 giorni di tregua allo shutdown concessi dalla proroga votata a poche ore dalla scadenza della mezzanotte tra sabato e domenica. Di fatto, oltre a essere bersaglio della fazione estrema dei conservatori americani, ora sembra anche in ostaggio dell’intera squadra dei repubblicani, in particolare alla Camera.
Quindi, senza scomodare farfalle e tsunami, due voti sembrano aver creato le condizioni della tempesta perfetta che Vladimir Putin sta aspettando dal giorno dopo l’invasione del 24 febbraio 2022, quando cioè quasi tutto il mondo ha tentato di isolarlo. Uniti si combatte, divisi si cade diceva Winston Churchill nella Gran Bretagna sotto lo scacco di Hitler. Ed è proprio questa unità che scricchiola sempre di più. Con un’Europa concentrata su altre istanze, in parte conseguenza della guerra: crisi, inflazione, profughi e le elezioni di primavera alle porte. Un’America che finalizza tutto al voto del novembre 24 per la Casa Bianca. E un Cremlino che è convinto – con la propaganda Web, le alleanze e il doppio gioco di troppi competitor – alla fine di vincere, la situazione non è delle migliori.
Con l’inverno alle porte, il morale non proprio altissimo e sempre meno amici nel mondo, l’Ucraina forse ora si sente più sola. La profezia di Putin, come la chiamano gli esperti di geopolitica, si starà veramente avverando? Resistere, resistere alle pressioni interne, al dissenso interno e agli embarghi alla fine lo avrà reso più forte e fatto compiere un passo in avanti verso la vittoria? Rispondere ora è impossibile, pesare le probabilità, però, forse sì.

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