domenica 16 gennaio 2011
Liberata una giovane donna incinta. Il gruppo è prigioniero in un’altra località del deserto. Don Mosé Zerai chiede alla Ue di mobilitarsi per aiutare questi altri sventurati e combattere il traffico di esseri umani.
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Per lei l’incubo è finito. Il bambino che porta in grembo non nascerà in un container sepolto sotto la sabbia del Sinai. «Questa mattina (ieri per chi legge, ndr) mi hanno detto che una delle ragazze ancora prigioniere dei trafficanti è stata liberata  – riferisce don Mosé Zerai, presidente dell’Agenzia Habeshia –. È all’ultimo mese di gravidanza ed eravamo molto preoccupati per le sue condizioni di salute». Ora, com’è avvenuto per gli altri 38 profughi che sono riusciti a raggiungere Israele, non resta che attendere una telefonata che dia la conferma definitiva che la giovane e il suo bambino sono in salvo.Inoltre, nei giorni scorsi, i trafficanti di Abu Khaled avevano lasciato andare un altro gruppetto di venti persone che erano riuscite a pagare il riscatto. La partenza di quest’ultimo gruppetto riduce ulteriormente il numero di profughi ancora nelle mani dei predoni: solo una ventina di ragazzi e ragazze su cui i carcerieri infieriscono con crescente violenza. «Hanno fretta di sbarazzarsi di loro -spiega don Mosé- Mentre ero al telefono con un ragazzo sentivo  il trafficante che diceva: "Non allungare il discorso. Chiedi solo di mandare i soldi". E lo picchiava». Il timore è che i predoni decidano di rivenderli ad altre bande di trafficanti.E dal Sinai arriva un altro allarme: «Giovedì mattina sono riuscito a contattare un altro gruppo di 32 persone che vengono tenute prigioniere in un’altra località del Sinai». Il contatto è avvenuto tramite un uomo che vive in Italia e ha segnalato a don Mosé Zerai la presenza del nipote nelle mani dei trafficanti. «Mi aveva fornito il numero di telefono del ragazzo. Solo dopo alcuni giorni di tentativi sono riuscito a chiamarlo», aggiunge il sacerdote.L’allarme resta alto anche perché il flusso di profughi in fuga da Sudan, Etiopia e Somalia diretti verso Israele non accenna a fermarsi. «Da un lato serve l’impegno del governo egiziano e di Israele per combattere in loco i trafficanti  – spiega don Mosé –. Ma questo non basta se l’Europa non avvia un programma di resettlement in un Paese sicuro per queste persone. Occorre dare ai profughi una va di fuga, solo in questo modo possiamo sottrarli alle mani dei trafficanti».Per questo motivo è stato lanciato un appello su internet per chiedere all’Unione europea e alla comunità internazionale di mobilitarsi «per combattere il traffico di esseri umani e affinché sia garantita a queste persone la protezione internazionale di cui hanno bisogno e a cui hanno diritto», si legge nel testo. L’appello, lanciato giovedì, conta più di 150 firme, tra cui quelle dei deputati Savino Pezzotta, Luigi Manconi, Paola Binetti, Gennaro Malgieri, Benedetto Della Vedova, Livia Turco, Matteo Mencacci.
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