sabato 10 febbraio 2024
La tecnologia non basta: verso un massacro annunciato a Gaza

Reuters

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Vedremo presto, dopo quelli denunciati, possibili altri crimini di guerra nella Striscia di Gaza? Combattere oggi a Rafah, come pretendono di fare il premier israeliano Benjamin Netanyahu e il ministro della Difesa Yoav Gallant, sa tanto di massacro annunciato, di nuova Mosul o di Gaza City bis. Anche gli americani descrivono l’imminente operazione come un disastro probabile e il segretario di Stato Anthony Blinken ha espresso a Netanyahu tutti i suoi timori, invitandolo alla massima cautela verso i civili.

Raccontava tempo fa il ricercatore Omar S. Asfour che il centro di Rafah è un ginepraio, urbanizzato fin nel midollo: gli edifici sono fitti, serviti da vicoli stretti, trafficatissimi in tempi normali e proibitivi per i blindati pesanti. Un vantaggio per qualunque difensore che trami imboscate. Sì, perché Hamas, stando agli 007 americani, è ancora vitale, indebolita, ma lungi dall’essere annientata. Ecco perché un’operazione su Rafah sarebbe preludio a una catastrofe. Ricorda l’analista Seth J. Frantzam che, per quanto Israele sia ipertecnologica, le guerre in città si combattono ancora alla vecchia maniera, con il supporto degli esplosivi e degli elicotteri d’attacco, che seminano distruzione e lutti anche quando si usi prudenza, caratteristica israeliana di questa fase di guerra.

La verità è che come a Gaza City, anche a Rafah, Hamas si mimetizzerà fra i civili, combattendo in tre dimensioni, fra nugoli di rifugiati e masse di derelitti; e i dati del Norwegian Refugee Council raccontano che, oggi, il governatorato di Rafah è un coacervo di 1,4 milioni di persone, compresi gli sfollati del nord e di Khan Yunis, intrappolati in una superficie di appena 63 km quadrati. Significa che ogni kmq concentra più di 22.000 persone.

Come guerreggiarvi senza violare i protocolli aggiuntivi alla convenzione di Ginevra, discrimine fra obiettivi militari legittimi e civili inermi da tutelare? Che cosa succederebbe se Hamas aprisse agli sfollati di Rafah i tunnel di contrabbando verso l’Egitto, da sempre ostile all’arrivo di profughi? E che cosa succederebbe se masse di disperati infrangessero le barriere di filo spinato per riversarsi nel Sinai? È un pericolo di cui parla l’analista geopolitico Ryan Bohl, citato dall’agenzia Anadolu. Il governo israeliano ha già messo le mani avanti, facendo sapere di aver offerto all’Egitto garanzie che, prima dell’operazione, i residenti di Rafah saranno ricollocati nel nord della Striscia o a Khan Yunis. Sarà un’altra evacuazione di massa? È fattibile? A settentrione di Gaza non ci sono più strutture ricettive e non è finita nemmeno la campagna di controinsurrezione; pure a Khan Yunis la situazione è simile e, né qui né lì, è stata avviata la ricostruzione.

Per il generale Olivier Passot, le fasi di distruzione, contro-insurrezione, messa in sicurezza e stabilizzazione di un territorio dovrebbero essere sinergiche e ben sequenziate, pena il fallimento degli scopi militari prefissi, tanto che i funzionari statunitensi e la stampa liberal israeliana si interrogano già se l’obiettivo di annientare Hamas non sia una chimera irrealizzabile. Hamas è un’ideologia prima che un partito o un movimento terroristico. Al nord, sta riorganizzando perfino una parvenza di infrastruttura sociale. Dov’è oggi un progetto politico per la Striscia che non faccia il gioco di una rinascita dei terroristi? Il saggista Nathan Thrall è chiaro: c’è il rischio che l’invasione di Rafah si trasformi in un’occupazione longeva della Striscia, preludio ad una campagna di repressione senza fine, una trappola in cui rischia di incappare Israele, per i costi umani ed economici che comporterebbe.

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