giovedì 7 ottobre 2021
Terminata la sperimentazione in tre Paesi africani su 800mila bambini, via libera all’uso di massa per il Mosquirix. Il direttore dell’agenzia Onu Tedros: «Svolta storica»
Un uomo affetto da malaria a Chokwe, in Mozambico: è africano il 95% delle vittime

Un uomo affetto da malaria a Chokwe, in Mozambico: è africano il 95% delle vittime - Ansa

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C'è un pezzo di mondo che da decenni aspettava questo momento, un pezzo di mondo in cui un bambino sotto i cinque anni ha ancora altissime probabilità, nell’anno 2021, di morire di malaria, vero “top killer” d’Africa. Da ieri, quello che finora era una sperimentazione limitata è diventato strumento ufficiale, raccomandato dall’Organizzazione mondiale della sanità: si tratta del primo vaccino antimalarico per i bambini, un vaccino di cui l’Oms raccomanda ora l’impiego di massa, in particolare in Africa sub-sahariana e in altre aree a rischio. Il farmaco in questione è il RTS,S/AS01, prodotto con il nome commerciale di Mosquirix dalla Glaxo-SmithKline con l’aiuto di un organismo non profit, Path’s Malaria Vaccine Initiative. È efficace nel 56% dei casi, una soglia in apparenza non elevata, ma che equivale comunque alla possibilità di «salvare decine di migliaia di vite ogni anno», come ha sottolineato il direttore generale dell’Oms, Tedros Adhanom Ghebreyesus. Non solo: una forma modificata del Mosquirix, con la sigla R21, sta già mostrando nei trial un efficacia aumentata fino al 77%. C’è speranza, insomma, eccome.

Dopo tre decenni di ricerca e i primi via libera ottenuti dalle autorità sanitarie nel 2015, il Mosquirix è stato offerto in tre Paesi pilota, Malawi, Ghana e Kenya, a 800mila bambini in quattro dosi, la prima delle quali a 5 mesi di età e l’ultima entro i due anni. Periodicamente mamme e papà hanno con pazienza atteso il loro turno per le vaccinazioni. Come a Tomali, villaggio a sud del Malawi in cui nella locale lingua chichewa la malaria si chiama «malungo» e durante la stagione delle piogge, che dura cinque mesi, è molto difficile non subirne il contagio. Pozze stagnanti, dove le zanzare si diffondono, circondano strade e villaggi. La clinica più vicina è distante due ore di bicicletta e più si è lontani dai presidi sanitari maggiori sono i rischi per i bimbi contagiati. Occuparsi della malaria porta via a medici e infermieri gran parte del tempo. «Ora avremo anche più ore a disposizione per occuparci di altre malattie», sottolinea un’infermiera. I medici spiegano alla gente del villaggio che il vaccino non sostituirà i farmaci antimalarici o l’uso delle zanzariere, ma che sarà un’arma in più, l’arma che mancava.

Ancora oggi la malaria provoca 409mila morti l’anno, il 95% dei quali in Africa e per due terzi bambini sotto i cinque anni. L’Oms stima che l’80% dei contagi si verifichi in 15 Paesi africani (Nigeria in testa, con il 25% del totale) e in India. Vettore del parassita appartenente al genere Plasmodium sono le zanzare Anopheles: la loro puntura trasmette appunto nel sangue i parassiti, che, se riescono a localizzarsi nel fegato, maturano e si moltiplicano prima di invadere i globuli rossi e cominciare a provocare i sintomi. A quel punto sono necessari farmaci che uccidono i parassiti, non sempre disponibili e spesso insufficienti per i bimbi più piccoli. Il Mosquirix usa una proteina del parassita nel tentativo di bloccare l’infezione al livello iniziale. Il sistema immunitario del bimbo vaccinato dovrebbe infatti riconoscere il parassita e produrre gli anticorpi necessari a debellarlo. «Questo è un momento storico – ha detto ieri Tedros –. Il tanto atteso vaccino è una svolta per la scienza, la salute dei bambini e il controllo della malaria».

Soddisfazione è stata espressa anche da molte Ong sul campo. «Come è avvenuto per l’Italia, dove la malaria era ancora endemica nella prima metà del Novecento, dobbiamo chiudere la partita anche nei Paesi africani – sottolinea la presidente di Amref Paola Crestani –. Finalmente ci siamo. E ancora una volta l’unica via a permetterci di progredire è la scienza, con un vaccino. Come Amref incoraggiamo continuamente le comunità a migliorare la prevenzione e la gestione della malattia». Il prossimo passo tocca ora a Gavi, l’alleanza globale per i vaccini: un suo sì potrebbe garantire l’acquisto del vaccino per i Paesi che lo richiederanno, un processo che potrebbe richiedere anche un anno. Ma non c’è proprio più altro tempo da perdere.

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