venerdì 12 novembre 2010
Menzionato nel documento finale un piano per la sicurezza alimentare e la diminuzione del gap tra nazioni povere e ricche. Tolto ogni riferimento alla questione delle monete «sottovalutate», per la decisa opposizione del gigante asiatico. Che incassa anche un impegno dei Grandi a combattere il protezionismo.
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Alla fine, il senso del vertice del G20 a Seul è in una frase di Barack Obama: "La gente deve smettere di pensare che ogni volta che i leader si riuniscono tirano fuori qualcosa di rivoluzionario". Insomma, nonostante i "tangibili risultati" vantati dal padrone di casa, il presidente sudcoreano Lee Myung Bak, un meeting di governo e non un vertice di emergenza, come i precedenti, convocati sull'onda della crisi globale. Dinanzi al rischio di un eclatante fallimento, gli sherpa delle delegazioni sono riusciti a raggiungere un minimo comun denominatore per il comunicato finale, necessariamente vago nei temi specifici per i quali si rimanda ai prossimi incontri. In particolare sulla questione più spinosa, quella dei cambi, i leader hanno convenuto sulla necessità di "muoversi verso un sistema dei cambi determinato in modo maggiore dal mercato" per riflettere "i sottostanti fondamenti economici". Ma ogni riferimento alla questione delle monete "sottovalutate" è stato espunto dal testo per la decisa opposizione della Cina. Di qui la soddisfazione di Pechino, che - per bocca del portavoce della delegazione - ha parlato di "risultati positivi, in uno scenario in cui ci si sposta dalla risposta alle emergenze verso una governance economica a lungo termine". Ai cinesi è piaciuto soprattutto l'impegno dei leader del G20 "a combattere il protezionismo commerciale, adottando una serie di misure per uno sviluppo solido e regolare dell'economia mondiale". Per la prima volta poi il comunicato del G20 contiene un riferimento alle politiche di cooperazione e per lo sviluppo, con un impegno dei leader per un piano di diversi anni teso ad aumentare la sicurezza alimentare e far diminuire il gap tra nazioni povere e ricche. Il vertice ha poi adottato le nuove regole sulla finanza previste dagli accordi di Basilea III e della riforma del Fondo monetario internazionale.Riprendendo l'impostazione emersa nel precedente summit del giugno scorso a Toronto, l'attenzione del G20 sembra pertanto essere quella di capire come impedire il ripetersi di crisi come quella del 2008. Non a caso, come ha spiegato il governatore di Bankitalia, Mario Draghi, che è anche presidente del Financial Stability Board, "la parte finanziaria è l'area dove c'è stato maggior progresso nei mesi passati: il G20 ha affrontato dei temi molto complicati come quello degli squilibri globali. Il fatto che non si siano ancora visti risultati non significa che questi risultati non verranno". Si tratta, ha concluso Draghi, di "un percorso su una materia straordinariamente difficile, ma vitale per l'economia mondiale".In questo processo una nuova responsabilità graverà sulle organizzazioni internazionali, come il Fondo Monetario Internazionale, alle quali viene chiesto di definire "linee guida indicative" per identificare gli squilibri da correggere. Un compito che, secondo il direttore generale dell'Fmi Dominique Strauss-Kahn, sarà possibile grazie all'aggiornamento del mandato e degli strumenti di controllo del Fondo. In particolare, ha aggiunto, l'Fmi cercherà di definire "il quadro globale" degli interventi "necessari per affrontare gli choc di natura sistemica". Ma è un processo lungo. Tanto da spingere Nicolas Sarkozy, padrone di casa del prossimo meeting, che terrà a Cannes nel novembre 2011, a mettere le mani avanti: "Sul tavolo c'è molto, non si può fare tutto in un anno".Ma, al di là dei comunicati e delle prese di posizione, l'immagine che il G20 di Seul si lascerà dietro è, ancora una volta, legata a Barack Obama: incapace di piegare la resistenza dei cinesi sul cambio dello yuan, non è riuscito neppure a spingere l'alleato coreano a firmare un accordo di libero scambio. Un risultato quest'ultimo - ha osservato il Washington Post - che "rivela nettamente i limiti della sua influenza oltreoceano, dopo le devastanti elezioni di midterm" in cui "davanti a un mercato del lavoro agonizzante, gli elettori hanno voltato le spalle al Partito Democratico". Insomma, ha infierito il quotidiano di Washington, "un presidente indebolito politicamente non è riuscito a portare a casa un accordo che avrebbe avuto importanti effetti sull'economia Usa". Un presidente in cui sembra specchiarsi un'America che - suo malgrado - torna da Seul più piccola di quando era partita.
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