martedì 28 ottobre 2008
Tanti politici del Gop temono di perdere il seggio e di consegnare ai rivali una maggioranza a prova di ostruzionismo. Ma per gli esperti gli indipendenti sono più favorevoli a una spartizione del potere.
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Jeff Sessions può dormire sonni tranquilli. Nella sua Alabama nessuno lo scalzerà dal seggio senatoriale di Washington. Viaggia a gonfie vele nei sondaggi: quasi due elettori su tre daranno luce verde al suo terzo mandato a Capitol Hill. L'Alabama sembra impermeabile ai venti che scuotono l'America e rischiano di stravolgere la mappa elettorale il 4 novembre. Qui, nello Stato simbolo della lotta per i diritti civili negli anni '60, nessuno osa pensare a un ribaltone. Anche se Sessions ha votato il 91% delle volte seguendo Bush, continua a difendere le sue politiche ed è stato uno dei nove senatori ad essersi opposto al bando posto dalla Corte suprema «contro i trattamenti disumani dei detenuti» della guerra al terrorismo. Ma la sua è una storia isolata nell'America del 2008. Perché se Barack Obama secondo molti sondaggisti può già preparare le valigie per il trasloco alla Casa Bianca, molti senatori conservatori, fra cui anche diversi pezzi da novanta del partito come il capogruppo al Senato Mitch McConnell (Kentucky), rischiano di non tornare più a Washington. Complici l'impopolarità di Bush e il disastro economico che trascina in basso sempre più famiglie. I democratici sognano il colpaccio, anzi il doppio colpo. Barack alla Casa Bianca, e una maggioranza a prova di ostruzionismo (filibustering) al Senato. Ovvero 60 senatori su cento. Attualmente ne mancano nove per arrivare alla meta, tanti. Ma l'impresa, sondaggi alla mano, sembra alla portata. Bill Clinton è andato in Kentucky a sostenere il rivale di McConnell, Bruce Lunsford. Il partito democratico, vista l'abbondanza di quattrini nelle sue casse, sta finanziando le campagne elettorali degli sfidanti con buone speranza di successo. Il numero magico, 60, significa togliere ai repubblicani qualsiasi chance di bloccare leggi e discussioni per almeno i prossimi due anni. Nell'ultimo biennio, il Grand old party (Gop) è ricorso per ben 92 volte all'ostruzionismo frustrando ogni sforzo dei democratici " che hanno riconquistato la maggioranza a Capitol Hill nel 2006 " di approvare provvedimenti chiave, come quello del calendario per il ritiro dall'Iraq. Con un presidente democratico alla Casa Bianca e un Congresso blu scuro (il colore dei democratici), l'agenda riformista liberal avrebbe pochi ostacoli. Almeno sulla carta. Non è un caso che in questi ultimi giorni John McCain abbia citato più volte nei suoi discorsi il duo Harry Reid-Nancy Pelosi (rispettivamente leader del Senato e della Camera) accusandolo di aver già pronta l'agenda per «alzare la tasse, aumentare le spese e accettare la sconfitta in Iraq». McCain fa leva su un sentimento molto diffuso negli Stati Uniti, ovvero la riluttanza degli elettori a dare le chiavi di tutti i centri di potere a un partito. Secondo un recente sondaggio, infatti, il 43% degli indipendenti vorrebbe che i due maggiori partiti si dividessero oneri e onori. E il 45% vorrebbe che i repubblicani avessero il controllo del Congresso. Ipotesi impossibile, visto che sondaggi e stime dei pundits (gli esperti) dicono che alla Camera i democratici potrebbero ottenere 28 seggi in più di quelli che hanno attualmente; e al Senato dai 6 ai 9 i seggi potrebbero finire a sinistra. Ecco perché i repubblicani stanno serrando le fila per non concedere terreno ai rivali. Il clima politico è negativo per i repubblicani. Appoggiarsi a Bush, che ha un tasso di popolarità fisso al 27%, è un suicidio. I candidati conservatori agitano quindi lo spettro di un Paese senza contrappesi se arrivasse lo tsunami democratico. Elizabeth Dole, senatrice della Nord Carolina con il seggio fortemente a rischio, ha iniziato a trasmettere spot Tv nei quali accusa i democratici di voler tutta la torta. Sullo sfondo l'immagine della rivale Kay Hagan e la voce narrante che dice: «Se vincerà avrà un assegno in bianco». E come la Dole, sono fortemente a rischio Norm Coleman (Minnesota) John Sonunu (New Hampshire), Bon Schaffer (Utah) Gordon Smith (Oregon) e Saxby Chambliss (Georgia) e Roger Wicker (Mississippi). Se i democratici facessero filotto, ottenendo una maggioranza a prova di ostruzionismo, bisognerebbe tornare ai tempi del Watergate per trovare una simile situazione. Nemmeno Ronald Reagan e i conservatori dopo la «rivoluzione» di Gingrich nel 1994 ebbero maggioranze così solide. E Bush junior fra il 2004 e il 2006 ha visto sì la maggioranza repubblicana al Congresso. Ma al Senato questa era semplice, lontana dal numero magico che Obama e i suoi sperano di conquistare il 4 novembre.
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