sabato 15 marzo 2014
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Il tempo sembra esser­si fermato al binario n.1 della stazione cen­trale di Kiev. Yelena, la ho­stess che mi accompagna alla cuccetta numero 15 mi fa sapere con orgoglio che presto servirà un te caldo. «Come in Anna Ka­renina », dico, ma Yelena non capisce. Sorride. Vuo­le ricontrollare il biglietto. «Se sbaglio – accenna in un ruvido inglese – zac!», e si passa l’indice sulla go­la, come fosse una lama.Parte da qui il lungo viag­gio verso Sinferopoli, ca­pitale fino a ieri per noi sconosciuta della Crimea ed ora epicentro del brac­cio di ferro fra Vladimir Putin e quello che un tem­po si chiamava «blocco occidentale», in attesa che il referendum di do­mani strappi la penisola cara a Togliatti, a Kruscev, alla nomenklatura sovie­tica alla sovranità dell’in­difesa Ucraina riconse­gnandola all’abbraccio consolatorio della madre Russia.«Ma noi siamo già russi», sorride sornione Viktor, marinaio sulle navi d’ap­poggio che fanno manu­tenzione alle piattaforme petrolifere in tutto il mon­do. Insieme al suo com­pare Denis torna a casa dopo mesi di navigazione. Andrete a votare? «Certa­mente, ma il risultato è già scritto. La storia l’ha scrit­to. La Crimea è russa e russa deve ritornare».Sfilano mute davanti a noi le piccole e grandi città che l’espresso 040 attra­versa nelle quindici ore di percorso. Mironiska, Ze­lena, Dnipropetrovsk, E­levatoria. Il grande nulla ucraino, l’immenso gra­naio d’Europa, un pano­rama ancora addormen­tato nell’ultimo sussulto d’inverno. Sulla mia car­rozza i viaggiatori sono tutti ucraini. Tornano a casa in Crimea, ma non sapremo mai se sono feli­ci davvero di cambiare bandiera. Prudenti, tac­ciono, come da decenni hanno imparati a fare quando hanno a che fare con i russi.A est si indovinano Kharkiv, un tempo sede dell’industria bellica so­vietica e Donetsk, la capi­tale carbonifera dove il deposto Janukovich è na­to e che ora Putin vorreb­be staccare dall’Ucraina dopo aver annesso la Cri­mea. Se focolaio di guerra ci sarà, sarà in questo lem­bo estremo di Ucraina che tutto comincerà. A Kiev, che mi sono lasciato alle spalle, si sta allestendo u­na milizia di 60mila vo­lontari. Difficile pensare che possano fermare l’orso russo.«Putin farà quello che de­ve e lo farà in fretta», dice Denis. Finisco per invi­diare Sasha, un bimbo biondissimo ed eterna­mente meravigliato. È il suo primo viaggio in treno e la carrozza sgangherata e malsana in cui trascorro ore lente e inquiete ha per lui il sapore di un’indici­bile magia. Cala la notte sul basso­piano dove il Dniepr si torce e si gonfia come un immane silenzioso ana­conda. Yelena si è addor­mentata nella sua cabina. Niente più te caldo.Da Sinferopoli giunge vo­ce di perquisizioni not­turne da parte dei milizia­ni filo-russi. Bloccano i treni, interrogano tutti i passeggeri. Un pessimo biglietto da visita per chi cerca di entrare in Crimea. Che peraltro – a Dio pia­cendo – è quello che stia­mo tentando di fare.
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