giovedì 21 gennaio 2010
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«Abbiamo portato ad Haiti dall’altro ieri venti tonnellate di attrezzature e di speranza», nota via Internet Danielle Leblanc, coordinatrice degli aiuti sul campo di Development and Peace, un’organizzazione della Conferenza episcopale canadese e della Conferenza dei religiosi. Insieme alla Caritas internazionale lavorano senza sosta i volontari cattolici degli Stati Uniti e del Canada mentre religiosi e religiose, superato o meno lo choc, si danno da fare con rinnovata convinzione. «Sono ancora spaventato ma comunque sto bene» ha scritto ai suoi confratelli canadesi il gesuita Kawa Francois da Canape-Vert, una delle località dove le distruzioni sono state forti. Il religioso, maestro dei novizi, aggiunge: «Siamo testimoni di una distruzione indescrivibile con morti ovunque». Una storia che ha colpito e commosso è quella del passionista Rick Frechette, rilanciata dal sito Internet della sua Provincia negli Usa. Era dalla madre gravemente ammalata nel New Jersey al momento del terremoto e aveva lasciato la direzione dei servizi medici della casa di cura internazionale che dirigeva ad Haiti con l’idea di trascorrere via diverse settimane. Quando la donna ha saputo del disastro ha insistito fino a convincere il figlio a rientrare: «Devi andare, gli ha detto, i loro problemi sono peggiori dei miei». E così, con mezzi di fortuna, il religioso è ritornato una settimana fa in un clima «di enorme tristezza», e ha celebrato fino a 18 funerali in un giorno. «Uno – ha scritto in una email – è stato per John, un operatore del nostro programma umanitario Saint Luke per strappare i bambini dalle strade e fornire loro un’istruzione. Un secondo funerale è stato per la mamma di Johanne, che dirige il programma di recupero, e poi per tanti altri sconosciuti». La catena ininterrotta della solidarietà cattolica sta attivando molteplici risorse. Suor Bertha Lopez, fondatrice della congregazione delle Missionarie del Risorto, con sede a Guadalajara in Messico, è da diversi giorni ad Haiti per portare la sua competenza medica a sostegno delle vittime e ha potuto raggiungere l’isola caraibica grazie a un volo privato organizzato da uno dei benefattori da Cancun. «Il giorno del terremoto è come fosse scoppiata una bomba», ha dichiarato all’agenzia Fides padre Victor, francescano. «Abbiamo dato i primi soccorsi a molta gente. Ho visto scene terribili. Ho visto la gente morire mentre le prestavamo le prime cure. È stato spaventoso. Ora ci sono molti cadaveri per le strade. Le università e le scuole, con i bambini e i giovani all’interno, sono crollate, schiacciando e uccidendo tutti: nessuno ha avuto tempo di scappare. Al momento abbiamo bisogno di analgesici per i feriti e di altri aiuti umanitari». Dei tre conventi in cui i francescani vivevano, uno è crollato del tutto, altri due sono gravemente lesionati. Le scuole dove i frati svolgevano le attività pastorali, specialmente il servizio di istruzione, sono andate distrutte. I 16 frati oggi si dedicano, con gli scarsi mezzi e le forze disponibili, alla cura dei feriti e al soccorso della popolazione. E i bilanci delle vittime, anche per il clero e i religiosi e religiose, sono largamente provvisori. Tra le centinaia di migliaia di morti o dispersi ci sono più di cento religiosi e religiose, secondo quanto informa un primo, sommario comunicato di padre Gabriel Nalanjo Salazar, claretiano, segretario generale della Clar (Confederazione Latinoamericana dei religiosi e delle religiose). Da tutti i frati contattati dalla Clar ad Haiti, aggiunge, è arrivato lo stesso pressante messaggio: «Inviate medicinali, medici e infermieri di cui abbiamo proprio bisogno. Possono arrivare dalla Repubblica Dominicana ma servono con urgenza!». Anche il Consiglio episcopale latinoamericano, ha lanciato un appello a tutte le Conferenze episcopali perché insieme alle organizzazioni sociali e caritative, venga promossa «la solidarietà per il popolo di Haiti, attraverso la Chiesa e le autorità civili, sia quelle di Haiti che della Repubblica Dominicana». Oltre agli aiuti è molto forte il sostegno della preghiera. Come ha fatto la Catholic University of America a Washington, organizzando una novena di preghiera. «Questo disastro – nota padre David O’Connell, vincenziano, presidente dell’istituzione – ci ha portato ad aprire gli occhi rispetto alla povertà e alla miseria di un luogo così vicino ai nostri confini. Non possiamo spiegare perché tutto questo sia accaduto, quali siano le vie della Provvidenza. Tuttavia di fronte a questa catastrofe abbiamo il dovere di rispondere con tutte le nostre forze».
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