venerdì 18 settembre 2009
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L’analista pachistano Rahimullah Yusufzai aveva preconizzato l’aumento degli attacchi alle truppe italiane due mesi fa, dopo l’agguato mortale contro il parà Alessandro Di Lisio. «Non saranno intensi come gli assalti lanciati contro le truppe americane e inglesi nel sud del Paese – aveva dichiarato –, ma attentati come quello in cui è rimasto ucciso il vostro soldato saranno all’ordine del giorno». Dopo essere stato l’autore della prima intervista a Ossama Benladen, nel 1998, e al mullah Omar, Yusufzai ha lavorato come commentatore di fatti afghani per le più importanti testate internazionali, Bbc e Time in testa. Lo abbiamo raggiunto per telefono a Peshawar dove lavora per il prestigioso quotidiano pachistano The News. I taleban conducono ora attacchi nel cuore della capitale. Come si spiega questa escalation?L’attacco alla pattuglia italiana dimostra infatti che i taleban hanno espanso la loro azione anche in zone che, fino a poco tempo fa, venivano considerate sicure. I taleban sanno benissimo che gli attacchi nella capitale o nelle grandi città hanno un forte impatto sulla popolazione e soprattutto godono di un’eco maggiore sulla stampa. Vogliono dimostrare alla gente che il governo afghano è molto debole e che le forze occidentali che lo sostengono non sono in grado di fermarli. Qualcosa sta quindi cambiando nella strategia dei taleban?La loro tattica è chiara. Dato che le truppe occidentali non escono dalle loro basi se non per spostarsi, le attaccano con agguati ai convogli militari, utilizzando mine ai bordi della strada. Se necessario, si passa poi ai kamikaze. I taleban dispongono di una riserva enorme di uomini pronti a farsi saltare in aria. Lo abbiamo constatato in tutte le regioni afghane. In fondo, sono queste le tattiche di ogni guerriglia. Mai scontri aperti, ma tattica del "mordi e fuggi" in cui possano avere la meglio. Quale può essere a questo punto la contro-strategia della Nato e dell’Isaf?Credo che si debba cercare di guadagnare il cuore e la mente della gente grazie a progetti sociali. Sembra, invece, che le truppe internazionali si siano focalizzate un po’ troppo sulle operazioni militari, mettendo in secondo piano l’aiuto alla popolazione. Qualche contingente sta ora rimediando a questa mancanza, ma è diventato più difficile e pericoloso uscire dalle proprie basi. È diventato pericoloso pure per la gente comune incontrare gli stranieri. È stato quindi un errore scommettere su Hamid Karzai?Niente affatto. L’Occidente ha scelto la persona giusta quando si è trattato di trovare un pashtun moderato, al di fuori degli schieramenti politici. E Karzai è stato infatti confermato come presidente alle prime elezioni del 2004. Oggi, invece, pare che l’uomo sia diventato impopolare e lo sarà di più dopo le voci sulle frodi che hanno accompagnato la sua rielezione. Un leader di al-Qaeda ha invitato di recente i taleban a sequestrare civili occidentali. Fino a che punto è ancora reale la connessione al Qaeda-taleban?I taleban non hanno aspettato i consigli di al-Qaeda per sequestrare occidentali: prima un giornalista italiano (Daniele Mastrogiacomo, ndr) poi David Rhode, quindi Stephen Farrell. E i taleban ricorreranno più spesso a questa strategia. Più che di connessione, parlerei di dipendenza, nel senso che la leadership di al-Qaeda vive sotto la protezione dei taleban, siano afghani e pachistani. La loro sopravvivenza dipende dai taleban. Pensa che i taleban abbiano ancora una vera gerarchia alla luce del frazionamento del territorio afghano?Certamente. Il mullah Omar è vivo e guida un Consiglio consultivo (Shura, ndr) composto di 10 membri, che oggi conducono il gioco. La politica delle defezioni incoraggiata dal governo afghano non ha avuto successo e il 95% dei taleban è rimasto leale al mullah. Questo significa che il movimento è rimasto intatto per quanto riguarda il vertice, nonostante le perdite subite, e che è in grado di pianificare altri attacchi.
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