giovedì 20 agosto 2015
​La traduzione urdu del termine compare in un poster per i vent'anni della morte del sacerdote Fazal Masih. I tre cristiani incriminati per terrorismo. Ma incombe l'ombra della legge sulla blasfemia.
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Hanno definito "profeta" un prete cristiano e ora rischiano la pena di morte. Ancora una volta il Punjab si rivela una terra avversa ai cristiani e ancora una volta l’articolo 295 del Codice penale pachistano (meglio noto come legge sulla blasfemia), rischia di sancire l’ennesimo martirio. La polizia pachistana ha arrestato ieri tre cristiani che, in un poster per la celebrazione dei vent’anni dalla morte del prete Fazal Masih, hanno definito il sacerdote con un termine che, nel Paese, spetta solo a Maometto: la traduzione in urdu di "Profeta".  

Altri undici persone sono tuttora ricercate per lo stesso reato. L’incriminazione ufficiale è quella di terrorismo che però potrebbe essere solo un escamotage per accelerare i tempi del processo (come prevede la legislazione pachistana), e non esclude una futura formulazione dell’accusa di blasfemia per cui è prevista la pena di morte.

"Abbiamo arrestato tre uomini incluso il figlio del prete" ha dichiarato Shahid Tanveer, capo della polizia locale, che ha poi aggiunto di aver convocato le autorità religiose, cristiane e musulmane, per una consultazione sul caso. Sembra che i cristiani abbiano formalmente presentato le loro scuse che, però, i musulmani hanno rifiutato di accettare. Tanveer non ha dato motivazioni sul perché dell’applicazione della legge anti terrorismo.

I cristiani in Pakistan sono circa il due per cento (su una popolazione di circa 200 milioni di persone). La minoranza è continuo oggetto di accuse di blasfemia e profanazione del corano. Accuse che spesso nascondono interessi economici di chi le formula e che non hanno bisogno di essere provate per far incarcerare i responsabili.

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