domenica 28 dicembre 2014
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È una delle voci più significative della narrativa latinoamericana. Cubano doc, Leonardo Padura Fuentes è il più conosciuto dal pubblico internazionale degli scrittori della generazione post-Revolución. Il suo personaggio principale, il tenente Mario Conde – protagonista di numerosi romanzi, da “Passato remoto” a “Maschere” (pubblicati in Italia da Tropea) – sintetizza nelle proprie vicissitudini quelle di tutti i cubani nati dopo la presa del potere dei Castro. Ho cominciato il 17 dicembre mettendomi a scrivere di buon mattino. Sono stato, però, interrotto da un fotografo: aveva necessità di farmi alcuni scatti per una rivista messicana. È stato lui a dirmi dello scambio di prigionieri tra Cuba e gli Stati Uniti. Solo quello. Né lui né nessuno sapeva di più. Poco dopo, un’amica mi ha detto che Raúl Castro avrebbe parlato in tv alle 12. Mi sono seduto di fronte all’apparecchio con mia moglie, Lucía. Quando abbiamo sentito la notizia del ristabilimento delle relazioni con Washington, lei si è messa a piangere. Lucía è nata nel dicembre 1959. Il padre è emigrato negli Usa quando era troppo piccola per conservare anche solo un suo ricordo. E, da allora, non l’ha più rivisto. Lui non è mai tornato a Cuba – fino a metà degli anni Settanta non poteva farlo – e lei non è andata a trovarlo: sino agli anni Novanta non era permesso. Quando finalmente si è recata negli Usa, il padre era già morto. Lucía, quel giorno, ha pianto, per il papà perduto, per se stessa e l’amore che le era rimasto intrappolato dentro, per le tante storie tristi che abbiamo vissuto. Ha pianto, però, anche per la gioia che, a partire da quel momento, tali storie forse non si sarebbero più ripetute. Misure come l’ampliamento dei permessi di viaggio a Cuba per i cittadini Usa, l’eliminazione di alcune restrizioni bancarie e finanziarie, la possibilità di aumentare la quota di rimesse da parte dei parenti espatriati ai cubani residenti nell’isola, l’apertura di opportunità di scambi commerciali cambiano, profondamente, le nostre prospettive sul futuro. O meglio, per noi, il futuro è già iniziato il 17 dicembre. Ora all’isola toccherà fare i conti con i suoi problemi, in primo luogo con il nodo irrisolto dell’economia. Il disgelo con gli Stati Uniti non è la bacchetta magica da cui attendere le soluzioni. È, al limite, (almeno al principio) il venir meno della giustificazione per non guardare in faccia quei problemi. Che appartengono a Cuba e tocca ai cubani risolvere. Non nel futuro ma in questo presente ancora carico di difficoltà e ristrettezze quotidiane che, al di là del nuovo entusiasmo, amareggiano l’esistenza di moltissimi cubani.  Ce la faremo? Che cosa accadrà? Rispondo con una domanda: in quale delle numerose speculazioni sul prossimo futuro dell’isola era balenata l’idea “bislacca” di una distensione con gli Stati Uniti? In nessuna o, per non peccare di assolutismo, in molto poche. La futurologia, specie a Cuba, non funziona. Potrei citare i titoli di saggi usciti nel 1990, tipo «L’ultima ora di Fidel Castro» per dimostrare quanto fallace  si sia finora rivelata l’arte di immaginare il domani dell’isola.  Meglio lasciar perdere le previsioni ardite e concentrarsi su quel che sta accadendo. Che non è poco. Quando abbiamo saputo dell’accordo politico tra il presidente cubano e il suo omologo nordamericano, noi abitanti dell’isola abbiamo percepito che qualcosa cambiava nelle nostre vite. È bastata solo la notizia a creare questa certezza. Cinque decenni di ostilità, sospetto, embargo – e, a volte, perfino vere e proprie aggressioni – volgono al temine. Il superamento di questo stato di conflitto permanente e l’avvio della distensione hanno aperto la porta a qualcosa di impalpabile quanto necessario come la speranza. Dal 17 dicembre, noi cubani crediamo con più forza che le nostre vite miglioreranno. E non per le implicazioni commerciali ed economiche della nuova politica verso gli Stati Uniti. Bensì per quello che la vecchia politica di astio ha smesso di implicare: restrizioni, isolamento, distanza, rancore. Con un salto, ci stiamo lasciando il passato alle spalle.  Per questo, dal 17 dicembre, per i cubani è iniziata una nuova epoca. Un’epoca necessariamente migliore, in tutti i sensi e gli ambiti della vita: economico, sociale, civile. Un’epoca di trasformazioni e dialogo. Dopo tanti anni di crisi, privazioni, sacrifici – riconducibili o meno all’embargo – ci meritavamo una bella sorpresa. E l’abbiamo ricevuta. Che il 2015 dia concretezza alle nostre attese. Da parte mia, lo comincerò come al solito: andando presto a dormire e promettendomi di smettere di fumare nel corso del nuovo anno…
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