martedì 25 gennaio 2011
La manifestazione vuole sollecitare il Pakistan ad abolire la legge sulla blasfemia, introdotta dal generale Zia nel 1986, che ha messo nei guai circa mille persone, e provocato già 33 vittime. Eppure il Paese asiatico fu tra i primi a sottoscrivere la Dichiarazione universale del 1948.
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Subito la libertà per Asia Bibi, presto l’abolizione della legge sulla blasfemia che, dal 1986 a oggi, ha colpito quasi mille pakistani di diverse confessioni. La battaglia per salvare la 45enne madre di cinque figli, condannata dopo un processo sommario, sintetizza la richiesta al governo di Lahore di rispettare la libertà religiosa affermata solennemente in quella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo che nel 1948 lo stesso Pakistan fu tra i primi a sottoscrivere. Parlamentari di maggioranza e opposizione, associazioni, sindacati e società civile manifestano domattina dalle 11,30 alle 13,30 a piazza Montecitorio. Un fronte unito che vede tra i promotori l’Associazione parlamentare Amici del Pakistan, Amnesty International, Comunità di Sant’Egidio, Tv2000, Religions for peace, Umanitaria Padana onlus e Cisl. Adesioni anche da organizzazioni sick, indù, buddiste, islamiche ed ebraiche. Alle 14,30 i promotori saranno ricevuti dal ministro degli esteri Franco Frattini.Al presidente Asif Alì Zardari il comitato promotore chiede la grazia per la donna: cattolica, lavoratrice agricola, accusata di avere offeso Maometto, è stata picchiata, imprigionata e condannata a morte dopo un processo farsa condizionato da gruppi di pressione fondamentalisti. Sarebbe la prima donna a pagare con la vita per un reato che in realtà nasconderebbe una lite per la spartizione di acqua. Ma i promotori chiedono l’abolizione della legge. Promulgata unilateralmente dal generale Zia-ul-Haq nel 1986 e mai ratificata da alcun parlamento, ha messo nei guai 479 musulmani, 340 ahmadi (una setta che il governo non riconosce come musulmana), 120 cristiani, 14 indù e altri 10 credenti di altre religioni. Ben 33 persone, sotto processo per blasfemia o assolte dall’accusa, sono state vittime di esecuzioni extragiudiaziali. «La legge sulla blasfemia aumenta il tasso di frizione tra le religioni – sostiene Mario Giro della Comunità di Sant’Egidio – anche perché è l’unica, tra quelle che pure esistono in altri paesi, a prevedere la pena capitale». Luisa Capitanio Santolini, deputata Udc e promotrice dell’Associazione parlamentare Amici del Pakistan, sottolinea l’importanza di un sostegno dall’estero a chi si batte per cambiare le cose in Pakistan: «Come la parlamentare Sherry Rehman, musulmana, costretta a ritirare la sua proposta di riforma della legge sulla blasfemia perché colpita da una fatwa di gruppi integralisti.O il ministro delle minoranze, il cattolico Shahbaz Bhatti, che si è impegnato a cambiare la legge ed è anche lui sottoposto a pressioni fortissime. Ora la vita di Asia Bibi è nelle mani dei giudici dell’Alta Corte di Lahore che deve pronunciarsi sulla sentenza». Riccardo Noury, portavoce della sezione italiana di Amnesty, dice che «la legge ha una formulazione talmente vaga che si presta a qualunque tipo di abuso. E bolla con lo stigma di blasfemo anche chi viene assolto: Asia Bibi va liberata, ma poi va garantita la sua incolumità che resta a rischio. In Pakistan come in altri paesi i cristiani stanno subendo un periodo particolarmente duro di violenze. La libertà religiosa è un diritto inviolabile». Sara Fumagalli dell’associazione Umanitaria Padania ricorda il sacrificio del governatore del Punjab, il musulmano Salman Taseer, «che ha pagato con la vita per avere sostenuto l’innocenza di Asia Bibi».
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