giovedì 10 febbraio 2011
Un arresto dopo l’attacco a tre edifici sacri a Giava. I vescovi: «Minoranze lasciate senza protezione». In molti chiedono la sostituzione del ministro per gli Affari religiosi, Suryadharma Ali ritenuto connivente con l’estremismo per avere ostacolato una revisione della legge sulla blasfemia.
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Tensione in Indonesia dopo l’incendio di due edifici religiosi cristiani e la devastazione di una chiesa cattolica, seguiti martedì alla sentenza di condanna a cinque anni di carcere (ritenuta mite dai fondamentalisti islamici) per blasfemia da parte di un tribunale di Temanggung (Giava) contro un predicatore e scrittore cristiano. Polizia schierata a presidiare i luoghi di culto e reazione di condanna quasi unanime delle violenze da parte della politica, della società civile e delle fedi, ma il timore di molti è che questo fatto, come pure il massacro domenica di tre esponenti della setta di origine islamica degli ahmadi, possano precludere a una campagna di aggressione verso le minoranze nel grande Paese musulmano. L’incapacità delle forze dell’ordine di prevenire le violenze, certamente pianificate, chiama in causa direttamente il governo del presidente Susilo Bambang Yudhoyono, che deve fare i conti con la componente islamista della sua stessa maggioranza di governo. Yudhoyono ha chiesto ieri ai responsabili dell’ordine pubblico e delle forze armate di vigilare ed operare per difendere la libertà di pratica religiosa, ma senza puntare il dito contro alcuno.Un uomo, sospettato di essere uno degli organizzatori delle violenze è stato arrestato ma sulla sua identità, come sulla sospetta appartenenza al movimento del Fronte per la difesa dell’islam è sceso il silenzio. Mentre c’è chi chiede le dimissioni del ministro per gli Affari religiosi, Suryadharma Ali, ritenuto connivente con gli estremisti dopo avere ostacolato una revisione della legge sulla blasfemia e per avere emesso nel 2008 un decreto restrittivo verso la setta degli ahmadi, il presidente della Commissione per il Dialogo interreligioso della Conferenza episcopale dell’indonesia, monsignor Petrus Canisius Mandagi, ha ricordato come le minoranze «sono state lasciate senza alcuna protezione dallo Stato». Il prelato ha chiesto «un’azione decisa» per fermare le violenze ma insieme ha invitato i cristiani a non cadere nella trappola della vendetta.Ci sono aspetti, infatti, nei fatti di Temanggung che chiamano in causa l’aggressività di alcuni elementi fondamentalisti cristiani. Come ricordato ieri all’agenzia Fides da padre Benny Suseyto, Segretario esecutivo della Commissione per il dialogo interreligioso della Conferenza episcopale indonesiana, «si tratta di predicatori spesso improvvisati, di denominazione evangelista e pentecostale, che non hanno rispetto per le altre religioni. La loro predicazione e il loro linguaggio generano fra la popolazione, rabbia e odio». Per padre Susetyo, questo atteggiamento e alla base dei fatti di Temanggung. Antonius Richmond Bawengan, il cristiano accusato e condannato per blasfemia, ha avuto pochi scrupoli nel diffondere materiale offensivo per i musulmani. Un’occasione da cogliere al volo per gli estremisti che costituiscono l’altra faccia, minoritaria ma aggressiva, dell’islam indonesiano. «Sono entrambi piccoli gruppi – ricorda padre Susetyo – ma quando i fanatismi si scontrano, tutti ne fanno le spese». In ogni caso, conclude il sacerdote, «il governo non fa nulla per fermare questi diversi estremismi, per proteggere i diritti umani e tutelare l’ideologia Pancasila (Cinque Princìpi) che è alla base della convivenza pacifica fra le religioni». A rendere ancora più tesa la situazione nel Paese, si apre oggi a Giacarta il processo a Abu Bakr Ba’aysir, a capo per lungo tempo dell’organizzazione radicale Jemaah Islamiya, collegata ad al-Qaeda. Già passato attraverso diverse vicende giudiziarie per la sua attività estremista, Ba’asyir, affronta ora un giudizio per terrorismo che potrebbe finire con la condanna alla pena capitale.
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