lunedì 23 agosto 2010
Allarme delle Ong: «I minori sfollati rischiano di finire nel giro della tratta». Associazioni locali denunciano: in aumento i piccoli scomparsi. Dal 2000, oltre 10mila le vittime di trafficanti.
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Usman, Waqar, Bakit, Abdullah... È lunga la lista dei bambini scomparsi nelle aree inondate del Pakistan. Nessuno sa di preciso quanti siano. Nel caos generale è impossibile fare stime affidabili. L’acqua – che ha invaso un quinto del Paese – ha lasciato senza rifugio quasi cinque milioni di persone. I colpiti dalla catastrofe, la peggiore degli ultimi ottant’anni, sono almeno il triplo. L’Onu parla di oltre quindici milioni. Appena ieri, altri 150mila cittadini sono state evacuati dai villaggi più meridionali del Sindh, distrutti dall’esondazione del fiume Indo. Sono fuggiti con quello che avevano addosso. La maggior parte a piedi. Altri a bordo di furgoni scassati, caricati con qualunque cosa fossero riusciti ad afferrare: coperte, cuscini, un sacco di riso. Quasi tutti sono finiti a ingrossare, i già sovraffollati campi allestiti dal governo nella parte settentrionale della provincia. Qui, almeno 600mila uomini, donne e bambini vivono ammassati in tende improvvisate. Tanti non hanno nemmeno quelle. Situazioni strazianti, raccontano operatori umanitari e volontari. Che si accaniscono con particolare crudeltà sui più piccoli: sono oltre sei milioni i minori di 14 anni colpiti. Secondo l’Unicef, oltre la metà corre il rischio di morire di fame o di malattie. C’è, però, un ulteriore minaccia che grava sui bambini: il pericolo di finire nelle reti del traffico. È facile che i piccoli si perdono nell’esodo generale. E molti sono disposti ad approfittarne. L’Ong locale Madadgaar Helpline ha segnalato dodici sparizioni di minori nella zona di Karachi dopo le inondazioni, di cui fanno parte i quattro indicati all’inizio. Ma i membri dell’organizzazione sanno che il numero reale è ben più alto. E che aumenta col trascorrere delle settimane. Lo conferma Shamsa Rizwan, medico di Islamabad e responsabile della sezione nazionale di Child Advocacy International (Cai). In una denuncia all’agenzia Fides, la dottoressa dice: «Il numero dei bambini dispersi e delle madri che piangono i figli scomparsi cresce a dismisura». E aggiunge: «Questa situazione di confusione generale costituisce una ghiotta occasione per le reti di trafficanti di esseri umani». La stessa Shamsa – secondo quanto riferisce Fides – si è faccia a faccia con questo dramma: «Ho parlato con una bambina, mi ha raccontato di essere stata avvicinata da un uomo. In cambio di cibo, le ha chiesto di seguirlo. Si è salvata solo per l’intervento di un volontario». Tanti, troppi, però, non sono stati altrettanto fortunati. Già alcuni giorni fa, l’esperta Tahmina Rashid, in un’intervista al quotidiano The Epoc Times, aveva lanciato l’allarme che le inondazioni si trasformassero in un business per i mercanti di esseri umani. «Accade, in genere, dopo ogni disastro», aveva detto. Ancor più in Pakistan, dove il numero di piccoli scomparsi o rapiti – e quasi certamente finiti nella tratta – sono 3mila all’anno, in base allo studio dell’Ong Plan, presentato all’inizio di agosto. Negli ultimi 18 mesi i bimbi spariti sono 4.300. L’Ong Madadgaar Helpline parla di 10.511 casi dal 2000. E, ora, con le inondazioni, rischiano di aumentare. Soprattutto nel Sindh, zona in cui ci sarebbe un milione di bimbi trafficati per farli lavorare. «Il pericolo c’è – dice ad Avvenire Maurizio Giuliano, responsabile dell’Agenzia per gli affari umanitari (Ocha) dell’ONU –, anche se al momento non ci risultano segnalazioni». L’altra minaccia che il governo si trova ad affrontare proviene dai taleban. Che – sotto la copertura di alcune organizzazioni caritative islamiche – cercano di fare proseliti nelle zone della catastrofe. Sfruttando il malcontento e la disperazione dei profughi. L’esecutivo ha vietato l’ingresso nelle province inondate alle associazioni legate agli integralisti. Di fatto, queste associazione sono già messe al bando dalla legge antiterrorismo. Molte, però, hanno cambiato nome ma non proposito. Fermarle non è semplice. Si spera di neutralizzarne l’azione incrementando gli aiuti disinteressati da parte del governo e dell’estero. L’Onu ha raccolto il 70 per cento dei 460 milioni di dollari richiesti per la prima emergenza, dopo la riunione speciale di giovedì. L’arcivescovo di Torino, cardinale Severino Poletto, ha rivolto un accorato appello ai fedeli affinché facciano un «gesto di vicinanza». Il Fondo monetario internazionale (Fmi) ha annunciato di essere pronto a rivedere il suo piano di aiuti per il Pakistan. Domani ci saranno incontri a Washington con il ministro delle Finanze Abdul Hafeez Shaikh.
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