venerdì 16 settembre 2022
La scritta è stata trovata in un sotterraneo di Balakliya trasformata in camera di tortura dagli occupanti russi
La preghiera scritta sul muro della cella

La preghiera scritta sul muro della cella - Ansa

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Le lettere cirilliche sono sottili segni bianchi. Alcune si leggono a malapena. Eppure le parole sono inequivocabili: «Padre nostro...». La preghiera insegnata da Cristo ai discepoli, duemila anni fa, è stata trovata nelle viscere di un sotterraneo di Balakliya, trasformato in camera di tortura dagli occupanti russi (Ansa). Una scoperta insieme sorprendente e banale. Non è la prima volta che il nome di Abbà, il Signore-Padre – anzi “papà”, come lo chiamava Gesù – compare scritto nei luoghi del dolore. Meno di un anno fa, lo scatto di centinaia di profughi radunati intorno a una croce in uno dei troppi gulag di Libia, aveva commosso, almeno per un istante, l’opinione pubblica mondiale. Alcuni decenni prima, a migliaia di chilometri e un oceano di distanza, un attivista per la nonviolenza aveva scritto con il proprio sangue “Diós no mata” (Dio non uccide) nella cella dell’unità 9 del carcere di La Plata. Allora – era il 1977, tempo dell’ultima dittatura argentina –, non c’erano cellulari per catturare le immagini. La frase perché quell’uomo, Adolfo Pérez Esquivel, divenuto premio Nobel per la Pace, intitolò così la propria autobiografia. Torniamo a Balakliya, cittadina dell’Ucraina orientale, appena liberata dall’esercito di Kiev dopo lunghi mesi di occupazione. Non conosciamo l’identità dell’autore del grafitto. Né le condizioni in cui è stato realizzato. Un’altra vittima anonima, dimenticata dalla storia. Non, però, da quel Padre a cui ha rivolto la sua preghiera dolente.

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