mercoledì 3 novembre 2010
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Se un abitante della Terra su tre ha contratto il mal sottile, ci sono buone probabilità di incontrare un ammalato in Africa orientale, contrassegnata sulle mappe epidemiologiche con il colore rosso vivo dell’infiammazione acuta. E sulla costa della Tanzania, a Bagamoyo, città di 35 mila abitanti a circa 70 chilometri da Dar-es-Salaam, quasi davanti a Zanzibar, nella sala d’attesa all’aperto del dispensario di Kerege, si riesce a ricostruire con buona approssimazione il circolo vizioso della povertà che rende difficili le cure alla tubercolosi, la cui sconfitta – uno degli obiettivi di sviluppo del millennio – purtroppo si sta allontanando grazie ai tagli degli Stati nei contributi al fondo globale contro Aids, malaria e tbc.Nelle strade polverose di Kerege, in pieno bush africano, c’è una bambina di sette anni, si chiama Miriam e pesa come una di quattro. Ha il volto emaciato e aspetta in braccio alla mamma la visita della dottoressa Asha Said. La quale medico a tutti gli effetti non è, ma nel sistema sanitario tanzaniano si colloca a un livello intermedio tra dottore e infermiere. È già molto, in Tanzania hanno un medico ogni 23 mila abitanti. Nonostante il paese venga da un periodo di stabilità che sta portando progressi economici, la piccola Miriam si è ammalata in uno degli stati più poveri del pianeta, dove il reddito annuo pro capite è di circa 220 dollari, il 60% della popolazione è privo dell’elettricità e il 40 dell’acqua potabile. In particolare in questa zona la maggioranza sopravvive con meno di 2 dollari al giorno, la linea della miseria.Requisito minimo e mai scontato è che il paziente si rechi al dispensario, spesso distante parecchi chilometri dal villaggio. Chi non può si reca ancora dallo sciamano che prescrive erbe e cura con rituali magici. Quindi, una volta prescritte le cure, gratuite nel caso di Myriam, occorre che la bambina assuma i farmaci con regolarità, altrimenti nel paziente si sviluppa una resistenza ai farmaci detta Tbc Mdr, che può diventare letale. La cura può durare dai sei agli otto mesi, occorre quindi che la mamma sappia attrezzarsi per somministrare le dosi ad esempio al buio e lontano da una fonte di acqua e che riesca a procurarsi la medicina all’ospedale quando sta per finire.In Tanzania si ammalano ogni anno 60 mila persone di Tbc, con una crescita costante negli ultimi 10 anni dovuta nel 20% dei casi all’aumento dei casi di Aids (spesso il virus dell’Hiv indebolisce le difese immunitarie favorendo l’incubazione del bacillo di Koch), alla mancanza di precauzioni per evitare la trasmissione e al miglioramento degli accertamenti sanitari. Nell’ufficio della dottoressa, che in questo momento è sola perché ha una collega in maternità, è appeso al muro un foglio di carta A4 scritto a mano con le 10 emergenze dell’area. Al primo posto la malaria, al secondo la Tbc, quindi le malattie veneree. Chiude la classifica l’Aids. Asha si è organizzata con il telefonino per seguire i pazienti. Il 97% della popolazione possiede un cellulare e lei invia sms per ricordare ai pazienti la pastiglia. Non sempre è sufficiente.«Il problema della piccola – spiega – è che non riesce a nutrirsi con regolarità perché la famiglia è povera. A sua volta la mamma è stata malata di malaria e il padre è sieropositivo, quindi non riescono a lavorare con regolarità. Le cure sono gratis, ma è difficile ricordare loro di far assumere le terapie alla bambina». Questo è il circolo della povertà. Se non lavori non mangi e ti ammali. Se ti ammali, non lavori e non mangi, quindi guarire è più difficile.Dopo Myriam, che sta comunque migliorando, tocca a Tama Ashim, 40 anni, padre di famiglia che vive a 12 chilometri dal dispensario e a 7 dall’ospedale. È appena uscito dalla fase acuta, si è ammalato 15 giorni fa.«Mio padre è morto di tubercolosi due anni fa. Quando ho avuto i primi sintomi, mia moglie mi ha convinto a farmi visitare e probabilmente mi ha salvato la vita. Ma tanti miei amici non vengono a curarsi. Da noi è normale stare male tutti i giorni, ci abituiamo ad avere fame e a non guarire. Tutti hanno qualcosa, la malattia fa parte della nostra vita, impari a conviverci».La Tanzania è oggetto da cinque anni di un esperimento attuato dalla Novartis, la multinazionale farmaceutica di Basilea, 100mila dipendenti in 140 paesi e un fatturato nel 2009 di 44 miliardi di dollari, il 3% dei quali impiegato dalla fondazione aziendale per progetti nei paesi in via di sviluppo. In sostanza si tratta di un progetto che coinvolge l’intero sistema sanitario nazionale, al quale la "Big Pharma", attraverso l’Organizzazione mondiale della sanità, ha destinato dal 2005 mezzo milione di dosi gratuite di trattamenti anti tubercolosi.In più, in questo distretto, insieme alle autorità sanitarie nazionali, sta conducendo un altro esperimento: curare l’assunzione delle cure con un assistente a domicilio del malato, che può essere un parente. Il direttore del programma statale anti Tbc e lebbra, Said Egwaga, ha annunciato che l’aderenza alla cura con questo metodo arriva all’80% sia in città che nelle aree rurali. Può restituire una speranza a tanti bambini come Myriam, che oggi ha un’aspettativa di vita di neppure 55 anni, come nell’Europa degli anni 50, e il suo futuro rischia di essere scritto dalla Tbc.
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