giovedì 11 febbraio 2010
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Ventiquattr’ore dopo aver riacceso i motori delle centrifughe per l’arricchimento dell’uranio, l’Iran pigia il piede sul freno. Nessun brusco stop, ma la voglia, tramite il capo dell’Agenzia atomica iraniana Ali Akbar Salehi, di non far deragliare del tutto ogni ipotesi di dialogo con la comunità internazionale. «L’accordo è sul tavolo», ha spiegato Salehi riferendosi all’intesa sul trasferimento all’estero dell’uranio da arricchire. Teheran chiede però che scorte di uranio restino nel Paese in attesa di ottenere dalla comunità internazionale quanto necessario per azionare il reattore per le ricerche mediche di Teheran. Ruota infatti attorno a questo impianto anche l’ultima proposta che è giunta a Teheran formulata dagli Stati Uniti insieme ad altri Paesi. L’idea è che l’Iran acquisti all’estero gli isotopi di cui ha bisogno per la cura di 850mila pazienti senza quindi dover lavorare al reattore dell’impianto della capitale per cui appunto si è reso necessario rimettere in moto le centrifughe di Natanz. Una fonte dell’Amministrazione Obama ha spiegato al Washington Post che «piuttosto che avviare un reattore, questa sarebbe un approccio più efficiente anche dal punto di vista dei costi». Ma Teheran ha definito «illogica l’offerta». E le centrifughe continuano a lavorare. Anche se l’arricchimento vero e proprio al 20%, hanno detto i tecnici iraniani agli esperti dell’Aiea, inizierà fra pochi giorni. La proposta Usa è arrivata proprio mentre Obama ha parlato di nuove sanzioni in arrivo per l’Iran accusando la Repubblica islamica di «andare verso la fabbricazione di un ordigno atomico». In attesa di riportare il dossier iraniano sul tavolo del Consiglio di sicurezza dell’Onu Washington ha siglato la prima stretta contro il regime degli ayatollah. Ieri il dipartimento del Tesoro ha annunciato una serie di sanzioni nei confronti di quattro compagnie e di un generale legati ai pasdaran. Le misure sono rivolte principalmente contro la Khatam al-Anbiya, che secondo il Tesoro è coinvolta nella costruzione di strade, tunnel, condotte e sostiene i programmi nucleare e missilistico di Teheran. Sono stati congelati i beni del generale Rostam Qasem che controlla le attività della Khatam al-Anbiya. La notizia sulle imminenti sanzioni unilaterali Usa era stata anticipata dal New York Times che spiegava che lo scopo di Washington è quello di tracciare una linea di separazione fra i Guardiani, considerati i veri responsabili del programma nucleare, e il resto della popolazione iraniana. Gli sherpa della diplomazia intanto sono al lavoro per il salto successivo: il rafforzamento delle sanzioni in sede Onu. Resta da convincere la Cina, riluttante a stringere la morsa intorno al regime degli ayatollah. Washington ritiene che sarebbe negli interessi, anche economici, di Pechino varare misure contro l’Iran. Infatti una Repubblica islamica nucleare metterebbe a rischio i rifornimenti di petrolio cinesi anche per l’elevato pericolo di un possibile raid israeliano contro i siti iraniani. Era stato il capo del Foreign Office, David Miliband, a sostenere l’altra sera che è nell’interesse stesso di Pechino unirsi agli altri Paesi del Consiglio di sicurezza per punire Teheran. L’esecutivo dell’Onu tuttavia non appare così compatto. Turchia e Brasile, membri non permanenti del consiglio, sono restii a sanzionare ulteriormente Teheran. Ha invece virato decisamente verso le posizioni occidentali Mosca. «Nella nuova situazione, la questione delle sanzioni, e della preparazione di una bozza di risoluzione, è diventata più rilevante», ha dichiarato il vice ministro degli Esteri, Sergei Ryabkov, spalancando di fatto le porte alle sanzioni. Anche se, sulla stessa linea di Washington, il dialogo non è ancora del tutto deragliato. «La situazione può svilupparsi ancora e bisogna che rimanga una piattaforma per il dialogo – ha poi aggiunto Ryabkov – come si devono trovare dei modi per mitigare le preoccupazioni internazionali riguardo il programma nucleare iraniano coinvolgendo l’Iran in uno sforzo diplomatico».
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