venerdì 11 febbraio 2011
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Barack Obama era ancora in volo sull’Air force one, l’aereo presidenziale diretto ieri in Michigan, quando la notizia di im­minenti dimissioni di Hosni Muba­rak si sono fatte sempre più esistenti. Un giorno di attesa, con gli occhi sul­le dirette tv e in continuo collega­mento con i suoi consiglieri diplo­matici. «Aspettare e vedere», la parola d’or­dine alla Casa Bianca come al Dipar­timento di Stato che rimandavano per ore qualsiasi dichiarazione. Mubarak in fuga, Mubarak con il capo di Stato maggiore a Sharm el-Sheik, Mubarak ancora al Cairo con il premier Shafiq, Mubarak... Un’intera mattina passata, aldilà del­l’Oceano, in attesa delle dichiarazio­ni ufficiali dell’antico alleato lasciato ormai solo contro piazza Tahrir. Ore decisive per trattare gli ultimi detta­gli con l’esercito, diventato pere Wa­shington ormai l’unico interlocutore. E qualche segnale decisivo deve es­sere arrivato, se parlando alla Northern Michigan University di Mar­quette, il presidente americano ha de­ciso di rompere per primo gli indugi: «Il popolo chiede un cambiamento, e una nuova generazione, chiede che sia udita la sua voce. In Egitto si sta fa­cendo la storia». Il presidente statu­nitense ha sottolineato che «sono sta­ti i giovani ad essere il cuore delle ma­nifestazioni, una generazione che vuole che la propria voce sia ascolta­ta». Molto più che un auspicio, un a­perto sostegno politico al nuovo cor­so del Cairo prima ancora di appren­dere del passo indietro, ma senza di­missioni, dell’anziano rais. Se per Wa­shington si sta andando avanti nella giusta direzione, non cambiano le priorità: gli Stati Uniti faranno «tutto ciò che possono» per garan­tire «una transizione ordina­ta » verso la «democrazia» e che punti a «libere elezioni». Facendo attenzione a non da­re l’impressione di ingerenze americane, Obama ha volu­tamente sottolineato che gli Stati Uniti sono solo «testi­moni » di quanto sta avve­nendo in Egitto. Ma, nello stesso tempo, sono testimo­ni partecipi, perché i manifestanti di piazza Tahir altro non chiedono se non libertà e democrazia, i valori fon­danti di ogni azione politica degli Sta­ti Uniti d’America. L’Unione Europea è pronta ad aiuta­re la democrazia egiziana. Lo ha di­chiarato il capo della diplomazia del­l’Ue, Catherine Ashton. «Non impor­ta cosa succederà nelle prossime ore o giorni, l’Unione europea resta pron­ta ad aiutare a costruire una profon­da democrazia che sosterrà la stabi­lità per il popolo egiziano», ha di­chiarato l’Alto commissario in una nota appena prima dell’atteso di­scorso del rais. Grande preoccupazione in Israele: il premier Benyamin Netanyahu, in un cauto commento prima dell’inter­vento televisivo di Mubarak, ha di­chiarato che Israele «desidera in Egit­to stabilità e continuità e che sia pre­servata la pace con Israele, quale che sia il governo al potere». «Noi co­munque – ha concluso – ci aspettia­mo che il governo in Egitto sappia tu­telare la pace» con Israele.
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