lunedì 25 settembre 2023
Dopo mesi di calo, il nuovo picco ha spinto Washington a un accordo col vicino per rimpatri express dalle città di confine. Il fine è bloccare a sud l'esodo incessante attraverso la selva del Darién
In gran parte sono haitiani, venezuelani, ecuadoriani ma anche afghani

In gran parte sono haitiani, venezuelani, ecuadoriani ma anche afghani - Ansa

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«Allentare la pressione». Le autorità statunitensi lo ripetono da una settimana. Esattamente da quando, il 19 settembre, la polizia migratoria ha fermato 8mila migranti in 24 ore lungo il confine con il Messico. Non accadeva da prima dell’11 maggio quando, l’eliminazione del blocco della frontiera, paradossalmente, ne ha sancito la normalizzazione. Il cordone sanitario, voluto dall’Amministrazione Trump in piena pandemia, aveva intrappolato nelle città di frontiera decine di migliaia di persone. Il mix di ampliamento delle possibilità di chiedere asilo per alcune categorie e di repressione coordinata con il Paese vicino ideato da Joe Biden ha determinato un drastico calo. L’equilibrio, però – gli esperti lo avevano previsto –, appariva fragile. Perché, oltre quattromila chilometri più a Sud, nei mesi estivi, ha continuato ad aumentare il numero di disperati in transito lungo l’unica lingua di terre che unisce le due Americhe: la selva del Darién. Haitiani, venezuelani, ecuadoriani in gran parte, ma anche cubani, peruviani, boliviani e, perfino, afghani e siriani, al ritmo di quasi 1.500 persone al giorno. Donne, uomini e bimbi in fuga da guerre mai formalmente scoppiate e mai finite, dagli sconquassi causati dalla pandemia, dalle economie distrutte dal riscaldamento globale.

Profughi formano una catena umana per attraversare uno dei molti fiumi della selva del Darién

Profughi formano una catena umana per attraversare uno dei molti fiumi della selva del Darién - Ansa


Mai erano stati così tanti. Secondo i dati dell’International rescue commettee (Irc), il flusso di profughi dei primi otto mesi del 2023 ha raggiunto quota 350mila. In tutto l’anno precedente erano stati 250mila. Secondo la Red Clamor della Chiesa panamense, entro dicembre si arriverà a mezzo milione. Nei 5mila ettari di foresta del Darién, a cavallo tra Colombia e Panama, il Clan del Golfo – tra le principali organizzazioni criminali colombiane, erede degli ex paramilitari – ha messo in piedi una fiorente industria basata sullo sfruttamento dei migranti. Apposite “guide” offrono una vasta gamma di servizi, con tanto di tariffario e ricevuta: si va da un minimo di 10 dollari per un piatto di pollo a pacchetti “lusso” da 500 dollari. La sicurezza si paga extra. Il punto è che il Clan del Golfo comanda solo nella prima metà della selva: nel 2022 erano stati registrati 141 decessi, il triplo dell’anno prima, ma questi sono solo i morti ufficiali. Una volta raggiunta la frontiera con panama i profughi diventano bottino di bande in guerra fra loro. Nessuno sa quanti di loro siano sepolti nel labirinto verde. In ogni caso, tanti riescono a raggiungere il sud del Messico dove, ormai, nonostante gli sforzi ben remunerati dagli Usa, le autorità non riescono più a contenerli. Tapachula è al collasso.

Cresce il grande esodo attraverso il Darién

Cresce il grande esodo attraverso il Darién - Ansa


Mancano cibo, acqua, servizi igienici. Abusi, truffe, sequestri sono continui. Una buona parte è riuscita a spostarsi a Città del Messico, dove i rifugi sono al 600 per cento della propria capacità. La grande fuga verso il confine Usa è ripresa incontenibile: gli agenti di frontiera hanno fermato 140mila migranti nei primi 20 giorni di settembre. Da qui l’accordo appena siglato dai presidenti Biden e Andrés Manuel López Obrador che consente l’arresto e il rimpatrio express dei profughi dalle città messicane situate lungo il Rio Bravo. Al contempo, in tutto il Paese sono stati incrementati i controlli lungo i binari dei treni merci diretti da sud verso nord. L’obiettivo è impedire ai migranti di viaggiarvi aggrappati ai tetti. Ancora una volta, il Messico torna a fare il gendarme del vicino. Alla vigilia dell’inizio della grande corsa per la Casa Bianca, Biden sa che la migrazione sarà una questione chiave. Come la storia recente ha dimostrato, però, il pugno di ferro, retorica a parte, non è sufficiente ad arginare il flusso. Da qui, la concessione di 470mila visti di lavoro per i venezuelani da parte di Washington. Una goccia, importante ma sempre una goccia, nel mare dei troppi drammi latinoamericani.

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