giovedì 21 settembre 2017
Lo scrittore catalano: «In ogni caso, si dovrà valutare l’astensione, voterà solo chi vuole la separazione. Una bassa partecipazione renderà tutto illegittimo»
Lo scrittore e analista Valentì Puig

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«Il referendum, in senso propriamente detto, non ci sarà». Ne è convinto Valentí Puig, scrittore, giornalista e analista catalano, autore di saggi e romanzi di successo, come La gran rutina, vincitore del premio Sant Joan e Somni Delta, insignito del Ramon Llull. Secondo Puig, al di là della retorica, il primo ottobre non potrà svolgersi alcuna votazione rappresentativa «perché non ci saranno urne né schede né controllo giuridico né conteggio».

Potrebbe, però, esserci una consultazione simbolica. Con che effetto?

Si dovrà tenere in considerazione soprattutto la percentuale di astensione. La vittoria del sì è scontata perché solo i favorevoli alla secessione andranno a votare. È probabile, inoltre, che verranno installate le urne solo in zone rurali dove è più forte il nazionalismo radicale. Che percentuale della società catalana, però, esso rappresenta davvero? È questo il punto. Una quota di partecipazione limitata potrebbe invalidare un referendum già di per sé illegittimo.

Dopo la sentenza della Corte costituzionale, Madrid, ha deciso di passare dalle parole ai fatti con l’ondata di arresti. Perché questo giro di vite?

Si tratta, in realtà, di una scelta fondata su una pura logica giuridica. La Generalitat ha convocato illegalmente il referendum e lo Stato ha il dovere di fare in modo che la legge sia applicata. Senza dubbio, però, tale braccio di ferro sta producendo forti tensioni andranno in crescendo nei prossimi nove giorni, fino al D-Day appunto. Si assisterà, inoltre, ad una serie di atti simbolici volti a compattare il fronte indipendentista. Il 2 ottobre, tuttavia, resta la vera incognita per ricondurre alla stabilità le istituzioni catalane. Secondo lei, che cosa accadrà quel giorno? Prevedo un flop della consultazione. A quel punto, la soluzione sarà un ritorno alle urne della Catalogna con la convocazione di elezioni regionali anticipate.

I catalanisti sostengono, invece, che quel giorno comincerà la separazione. Che cosa risponde loro?

L’indipendenza non è giuridicamente possibile. A meno che non si proceda a una modifica della Costituzione. I nazionalisti, però, non hanno un sostegno sufficiente alle Cortes per poterla attuare. Anche dal punto di vista economico, la secessione appare complicata. Non dimentichiamoci che la Catalogna, oltre che dalla Spagna, sarebbe fuori dall’Unione Europea.

Al di là delle azioni giuridiche, che cosa dovrebbe fare il premier Rajoy di fronte alla sfida di Barcellona?

Il governo deve rispondere in modo proporzionale. E deve, al contempo, far comprendere ai settori sociali catalani favorevoli all’indipendenza che la separazione unilaterale non è la strada giusta. È un atto di sedizione inutile e dannoso. Certo, non sarà facile. Dal punto di vista politico, la situazione è delicata. Anche perché la Generalitat dipende dal sostegno dell’ala dura del secessionismo, rappresentata dalla Candidatura d’unitat popular (Cup).

Che ruolo stanno giocando gli altri partiti nazionali?

Nonostante le differenze, centro-destra e centro-sinistra, insieme a Ciudadanos, stanno facendo fronte comune affinché sia dato seguito alle decisioni della Corte costituzionale e sia rispettata la legge.

Che impatto sta avendo lo scontro tra Madrid e Barcellona sulla politica nazionale?

Sta provocando un logoramento generale. Tanto più se si considerano le sfide a cui sono sottoposti i partner dell’Unione Europea. In Catalogna, in particolare, la polemica sul referendum sta acuendo la spaccatura provocata dal secessionismo. Quest’ultimo ha già frammentato la società catalana. L’attuale conflitto non farà che accrescere il senso di frustrazione e le divisioni politiche.

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