
Il presidente del Nicaragua, Daniel Ortega - Reuters
I frati carmelitani scalzi, dopo oltre cinquant’anni di servizio pastorale in Nicaragua, lasciano il Paese, costretti a tale gesto dalla situazione di persecuzione alla Chiesa che si vive nel Paese. «È un esilio», scrive sui social l’avvocata e ricercatrice Martha Patricia Molina, che documenta gli atti di ostilità verso la Chiesa cattolica e le altre Chiese cristiane da parte del regime di Ortega.
La partenza dell'ordine religioso è stata annunciata dalla Provincia di Nostra Signora di Guadalupe, che ha sede a San Salvador. I religiosi hanno consegnato all'arcidiocesi di Managua la parrocchia di Nostra Signora del Carmelo, e hanno ringraziato la comunità «per il cammino di fede che abbiamo percorso insieme». Presentiamo – hanno aggiunto – la «nostra preghiera di ringraziamento a Dio per il dono di aver fatto un cammino di fede con tanti parrocchiani, di aver celebrato la gioia della devozione mariana e l'approfondimento della fede eucaristica». Nel messaggio si ringrazia anche il cardinale Augusto Brenes, arcivescovo di Managua, per il suo accompagnamento.
Si tratta solo dell’ultima mossa del regime dal 2018. Nella nazione restano ormai solo cinque vescovi. Un segno eloquente della persecuzione subita dalla Chiesa cattolica che, secondo il gruppo di esperti delle Nazioni Unite, rende il regime responsabile di crimini di lesa umanità. Questi ultimi hanno registrato almeno 73 detenzioni arbitrarie di cattolici o altre confessioni, basate in prove inconsistenti o falsificate. L’ultimo pastore a essere espulso, è stato il presidente della Conferenza episcopale Carlos Herrera (che ha seguito i confratelli Álvarez e Isidoro Mora e Silvio Báez, ausiliare della capitale, con almeno o una mezza dozzina di sacerdoti.