La fiducia che solo il diritto può dare
Oggi ai giudici internazionali si imputa di applicare lealmente il diritto internazionale e salvaguardare i diritti fondamentali degli inermi. Ma così la pace si fa sempre più difficile

In principio fu giustizia dei vincitori, oggi è giustizia per i vinti. Al termine del Secondo conflitto mondiale, con i tribunali internazionali militari di Norimberga e Tokyo, il ricorso a processi in luogo delle consuetudinarie esecuzioni sommarie degli sconfitti affermò un principio etico e giuridico che ha modificato il corso della storia. I crimini di diritto internazionale non sono commessi da entità astratte, Stati, ma da uomini che devono risponderne personalmente. Una rivoluzione di civiltà. Ma fu giustizia dei vincitori, giustizia di parte. Giudici e procuratori, nominati dai nemici degli imputati, non erano indipendenti e imparziali. I tribunali riconoscevano diritti di difesa minimi e condannarono alla pena di morte per condotte non vietate al momento della loro commissione senza nemmeno consentire appelli. La guerra fredda lasciò la causa della giustizia penale internazionale sospesa, come un respiro trattenuto. All’inizio degli anni Novanta, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite agendo nel quadro delle sue prerogative per il mantenimento della sicurezza e della pace istituì i tribunali ad hoc per l’ex Jugoslavia e il Ruanda. Si cercava di emendare la colpa di avere lasciato che centinaia di migliaia di civili fossero sterminati, deportati, stuprati, torturati. Inizialmente intesi come una misura di carattere simbolico, i tribunali hanno dettato al verbale della storia pagine di verità e giustizia. Ma erano tribunali à la carte, istituiti dopo la commissione dei crimini. Non furono imparziali nella scelta dei casi. Le responsabilità accertate sussistevano, eccome, e furono provate al di là di ogni ragionevole dubbio; ma altre furono ignorate per precisa scelta politica.
Il Ventesimo secolo, il più diabolico della storia, si è chiuso inaspettatamente con l’istituzione della Corte penale internazionale. Fu un evento memorabile. Ai negoziati parteciparono oltre centocinquanta Stati. Le potenze sovraniste pretendevano un’istituzione debole, sottomessa alla politica. Furono sconfitte. Centoventi a sette. Il sogno di dotare l’umanità di un tribunale internazionale permanente per giudicare genocidi, crimini contro l’umanità e crimini di guerra veniva da lontano, dalla memoria di atrocità che avevano negato i più elementari valori umani. La Corte prese forma a fatica. I primi giudici e procuratori erano personaggi in cerca di autore, l’ansia di dimostrare rilevanza e certe cautele politiche determinarono decisioni deboli, interpretazioni discutibili, omissioni. In anni recenti la Corte ha gettato luce su disumanità raccapriccianti. Nel 2022 e nel 2023 il mondo ha preso a correre all’impazzata. I procedimenti della Corte hanno cominciato a collidere con interessi di potenze grandi e medie, che hanno messo in campo spionaggio, sabotaggi e misure coercitive. La Corte si è scoperta adulta. Ha superato tentennamenti, lentezze e inefficienze, ha dimostrato indipendenza e imparzialità e ha assunto appieno la sua nobile funzione di difendere i derelitti, i vinti, la cui memoria sarebbe altrimenti destinata all’oblio nella storia apocrifa scritta dai forti, dai vincitori.
Oggi, il mondo sembra regredire. Ai giudici internazionali si imputa di applicare lealmente il diritto internazionale e salvaguardare i diritti fondamentali degli inermi. Ai giudici che hanno doverosamente istruito procedimenti per crimini di guerra e crimini contro l'umanità in difesa di bambini e civili, un membro permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha inflitto pene detentive in contumacia fino a quindici anni di carcere. Un altro membro permanente del Consiglio ha imposto a giudici e procuratori sanzioni finanziarie iscrivendoli in liste di proscrizione destinate a terroristi, mafiosi e despoti. L’accusa? Avere correttamente attuato lo Statuto di Roma ratificato da centoventicinque Stati di ogni continente, due terzi dell’intera comunità internazionale. Lo scopo? Ridurre al silenzio, intimidire, influenzare un’istituzione indipendente che protegge dalle degenerazioni più ripugnanti della politica milioni di indifesi. «Pretese di un mondo volto pericolosamente indietro, al peggiore passato, un mondo che si presenta rovesciato e contraddittorio» ha ammonito il Presidente Mattarella.
Nel codice dei prepotenti i principi generali sono arbitrio, violenza e inciviltà. Gli incolpevoli, gli oppressi, i vinti sono sempre soli e si aggrappano alla giustizia come ultima speranza. Oggi prevale la politica del realismo, la legge del più forte, la regola dell’impunità, la norma dell’indifferenza davanti al sangue e alla sofferenza altrui. Ognuno di quei poveri corpi alla cui vista ci siamo assuefatti - mortificati, mutilati, sfigurati dalla fame - è per i cattolici un tempio che ospita Dio, un martire: «testimone» nell’etimo greco originario. Ed è per tutti un monito. Non è una questione giudiziaria. È un interrogativo che i sopravvissuti urlano in faccia alla politica. Che società volete edificare? Se la giustizia è messa a tacere, e i conti si regolano con la forza brutale, si scommette sull’odio. I forti prevalgono, o si illudono di farlo. Agli sconfitti, avviliti e umiliati, resta solo il rancore. L’odio è l’ira dei deboli, ha scritto Alphonse Daudet. I tribunali non garantiscono pace, dovere di chi fa la guerra, i governi, ma accendono fiammelle di fiducia. La speranza, ha detto Papa Leone, «non riguarda un confuso desiderio di cose incerte, ma è il nome che la volontà assume quando tende fermamente al bene e alla giustizia che sente mancare». È la funzione della Corte. Riconoscere a ogni persona quella nobiltà morale dovuta a ogni essere umano per il solo fatto di essere tale. Dignità, da dignus, «degno», «meritevole». Nasciamo tutti allo stesso modo. Nudi, piangendo, con gli occhi chiusi. Milioni muoiono nudi, piangendo, con gli occhi aperti. E noi facciamo finta di non vedere.
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