Politica e speranza: ciò che delude e ciò che possiamo fare

Il rapporto è ambivalente, si presta a strumentalizzazioni costruite su promesse vaghe. Ma questo Anno Santo ci ha consegnato un compito: il Giubileo non ha dato soluzioni ma ha indicato una via ai cristiani
December 28, 2025
Politica e speranza: ciò che delude e ciò che possiamo fare
Vaticano, 21 giugno 2025: papa Francesco incontra i partecipanti al Giubileo dei Governanti /Siciliani
L’Anno giubilare della Speranza ormai volge al termine: manca solo una manciata di giorni e poi rientreremo in una sorta di normalità, in cui non sarà facile comprendere cosa sia cambiato in noi e cosa sia cambiato attorno a noi. Abbiamo cercato di vivere una speranza che è apparsa spesso difficile: una speranza contro ogni speranza! l’abbiamo cercata come bene indispensabile, con umiltà, tenendo conto delle nostre fragilità e delle fragilità di chi ci sta accanto. Ma vivere la speranza quest’anno non è stato sempre facile, nonostante la grande spinta dell’Anno giubilare. Le tante guerre nel mondo, la povertà diffusa, le migrazioni a tutto campo, i vistosi cambiamenti politici e socioeconomici hanno destabilizzato la nostra speranza, mettendola spesso in grave crisi. Uno degli interrogativi che mi sono posta con maggiore frequenza in questi ultimi giorni dell’anno riguarda proprio la relazione tra speranza e politica, una relazione decisamente ambivalente. Da un lato, considero la speranza come il motore della politica: senza l’idea che il futuro possa essere migliore del presente, la politica perde senso. Dobbiamo sperare che le cose possano migliorare. D’altra parte, non mi sfugge il rischio che la speranza possa diventare uno strumento che la politica manipola con promesse vaghe, con attese continuamente rinviate. In questo caso la speranza rappresenta una sorta di tradimento, che delude, allontana, e l’assenza di speranza genera cinismo, apatia o autoritarismo, perché se nulla può cambiare, allora tutto è permesso. Per questo penso che la speranza richieda una coscienza critica che riconosce i limiti del presente, ne accetta la complessità e prova a risolvere le difficoltà e rilanciando continuamente nuove possibili soluzioni.
La speranza umana è una disposizione che nasce dall’esperienza, dalla capacità di gestione del rischio, ma soprattutto dai valori che si vogliono realizzare. In politica significa credere che l’agire umano può incidere sulla storia e orientarsi al futuro senza negare le difficoltà del presente per assumerne le giuste responsabilità, perché ciò che accade dipende anche da noi. Questa speranza non promette salvezza, ma miglioramenti concreti, parziali, sempre reversibili. È la virtù che rende possibile la riforma, il compromesso, la perseveranza nelle istituzioni. È una virtù che ha bisogno del supporto della speranza soprannaturale, che non si fonda sulle prospettive storiche, ma sulla promessa di Dio. La virtù teologale della speranza ci aiuta a capire come il senso ultimo della storia va oltre la stessa storia e ci aiuta a cogliere la dimensione relativa della politica. Ciò nonostante, speranza umana e speranza soprannaturale, pur essendo distinte, mostrano quanto bisogno abbiamo di entrambe. Sono due diverse forme di speranza che non possono sostituirsi reciprocamente: la speranza soprannaturale non fornisce programmi politici e la speranza umana non può promettere il Regno di Dio. In questa tensione, la politica resta uno spazio penultimo: necessario, serio, ma non ultimo. La speranza umana motiva l’azione politica; la speranza soprannaturale ne custodisce il limite.
Oggi, nel dibattito contemporaneo su religione e spazio pubblico, noi assistiamo a una profonda crisi di entrambe; molti autori diagnosticano una erosione della speranza politica moderna, con la conseguenza che la gente si allontana dalla politica. Non a caso da tempo ha smesso di partecipare ai grandi dibattiti pubblici, perché la politica, privata della speranza, fatica a pensare il futuro. Da un lato scivola nella tecnocrazia, pensando di poter delegare molte decisioni strategiche ai potenti algoritmi della Intelligenza artificiale e dall’altro si dissolve in una sorta di populismo emotivo. Eppure, proprio con la spinta di questo anno giubilare, si percepisce il bisogno di tornare alla speranza religiosa, perché, come il Natale ci conferma ancora oggi con la sua narrazione e i suoi simboli, può ispirare il dibattito pubblico. La speranza cristiana non promette il paradiso in terra, ma fonda una responsabilità storica più esigente; non offre soluzioni tecniche nello spazio pubblico, ma criteri di giudizio, motivazioni profonde, ragioni di senso. Il Giubileo della speranza ha riaffermato pubblicamente un’idea chiave: la speranza non coincide con l’esercizio del potere. E il linguaggio giubilare ha riportato nel discorso pubblico una visione più ampia delle politiche sociali con una maggiore attenzione al debito morale verso le generazioni future. Si può dire che il Giubileo della Speranza non ha dato soluzioni alla politica, ma le ha ricordato per chi e per che cosa esiste. Non ha prodotto una politica cristiana, ma ha reso più difficile una politica senza umanità, chiedendo una conversione dello sguardo, spostandolo verso ciò che è più giusto ed umano.
Se la politica, come sistema, oggi fatica a generare futuro, occorre tornare alla speranza dell’uomo politico, di ogni uomo politico, utilizzando un’altra grammatica, dal momento che la speranza è virtù personale. Riguarda le motivazioni di chi vuol fare politica e interpella la sua coscienza chiedendogli perché vuol fare politica, cosa lo fa resistere davanti alla disillusione, quale senso attribuisce al proprio agire, anche quando sembra fallire. Questa speranza non coincide con il successo, ma con la fedeltà ai propri valori. Un politico può perdere votazioni, vedere riforme smontate, subire compromessi dolorosi, e tuttavia non perdere la speranza, se questa non è legata all’esito immediato ma alla dignità stessa dell’azione politica. La speranza dell’uomo politico a livello personale è capacità di agire senza garanzia di successo, è disposizione a ricominciare dopo la sconfitta, è rifiuto di ridurre il bene al calcolo dell’efficacia. In questo senso è etica della responsabilità, perché non si identifica con l’esito storico delle sue azioni; può fallire senza sentirsi inutile; può rinunciare al potere senza rinunciare al senso stesso del suo agire politico. Questo rende il politico meno ricattabile dal consenso, meno tentato dall’opportunismo, più capace di gratuità. Anche se la speranza della politica come sistema appare in via di esaurimento, la speranza del politico a livello personale è un presupposto etico: senza di lei la politica diventa pura tecnica; con lei anche una politica fallibile resta umana.
La speranza, nella visione cristiana, non è garanzia di successo, perché la speranza cristiana è fedeltà ai propri valori anche nel tempo della sconfitta. La speranza cristiana non ignora il dolore, non rifugge dalle difficoltà, non cerca scorciatoie: sperare significa abitare il reale cogliendo anche i segnali minimi di rinnovamento, dando loro la giusta importanza. Gesù parla della speranza con immagini minime: un seme, il lievito, una moneta ritrovata. Qui la tradizione è chiarissima: la speranza cresce nel poco, non nello straordinario, ma sa cercare aiuto, anche quando sembra complicato. Il Giubileo, con le sue lunghe file di persone in preghiera, ci ha mostrato come la speranza, pur essendo un fatto personale, non è mai solo individuale. È custodita da una intera comunità, trasmessa da diverse generazioni, sostenuta quando una persona da sola non ce la fa più. I Salmi, la liturgia, la preghiera in comune sono forme di una speranza condivisa: quando non riesco a sperare, altri sperano con me e per me. La speranza cresce imparando a stare nel tempo insieme agli altri. Potremmo sintetizzare tutto ciò pensando che la speranza è vivere provando a cambiare il mondo poco a poco, con la nostra fede e la nostra capacità di amare. Per questo: la speranza non elimina il dolore, non risolve la politica, non salva dalla fatica, ma incoraggia ognuno di noi a dare il meglio di sé, dando senso e significato a tutto ciò che facciamo. Quest’anno giubilare ci ha ricordato che nella tradizione cristiana crescere in speranza significa imparare a vivere senza troppe garanzie, restando fedeli alla nostra umanità senza eroismi e, possibilmente, senza egoismi. Pronti ad accogliere nella nostra quotidianità chi sembra avere bisogno di noi, anche se non fa rumore, ma ci aiuta a cogliere il significato del tempo come dono e come servizio.

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