giovedì 22 maggio 2025
Da lunedì sarebbero entrati quasi 200 camion. Ma non parte la catena di consegne e distribuzione per l'elevato rischio sicurezza. Il premier israeliano: «Occuperemo tutta la Striscia»
Bimbi palestinesi si accalcano a un punto di distribuzione del cibo a Nuseirat, nel centro della Striscia

Bimbi palestinesi si accalcano a un punto di distribuzione del cibo a Nuseirat, nel centro della Striscia - Ansa

COMMENTA E CONDIVIDI

«Non possiamo accettare una crisi umanitaria a Gaza». E «se c’è un’opzione per un cessate il fuoco temporaneo per liberare gli ostaggi, noi siamo pronti ». Messo all’angolo dalla pressione americana e internazionale, ma ancor più da quella interna nei giorni in cui Israele piange due soldati, il premier Benjamin Netanyahu ha tenuto una conferenza stampa dopo cinque mesi. Elencando le richieste per porre fine al conflitto: «Tutti gli ostaggi tornano a casa, Hamas depone le armi, la sua leadership viene esiliata dalla Striscia, Gaza viene completamente smilitarizzata e attuiamo il piano Trump». Ovvero il trasferimento “volontario” dei palestinesi in Paesi pagati per prenderli, per fare della Striscia una Dubai sul Mediterraneo. Netanyahu ha confermato che Israele controllerà «tutte le aree della Striscia». E ha sfidato la procuratrice generale Gali Baharav- Miara dichiarando che il suo governo nominerà il prossimo capo dello Shin Bet. Poche ore prima la Corte Suprema aveva stabilito che il siluramento di Ronen Bar era stato illegale.

Se le parole sulla tregua in cambio degli ostaggi (58, di cui 20 vivi) erano dirette agli israeliani, quelle sugli aiuti sono ascoltate all’estero. «Finora, nessuna delle derrate ha potuto lasciare l’area di carico di Kerem Shalom», ha informato il portavoce dell’Onu Stephane Dujarric citato dal Jerusalem Post. Le autorità israeliane, da lunedì, hanno rimosso il blocco – che durava da undici settimane – all’ingresso degli aiuti, ma non ci sono le condizioni di sicurezza per trasportarli e distribuirli. Brillano sotto il sole i sacchi bianchi della farina fortificata, quella con micronutrienti (quali ferro, acido folico e altre vitamine) usata nelle crisi umanitarie. Ieri dal valico israeliano di Kerem Shalom, l’unico aperto, sono entrati cento carichi. In totale, quasi duecento. Prima del 7 ottobre 2023, ne entravano 550 al giorno, per una popolazione di 2,2 milioni. I magazzini, ad al-Arish nel Sinai egiziano e in Giordania, sono pieni zeppi. Gli Emirati Arabi, che dal 2020 riconoscono lo Stato ebraico avendo sottoscritto gli Accordi di Abramo, hanno raggiunto un accordo con Tel Aviv per l’invio di «aiuti umanitari urgenti» che, nella fase iniziale, «copriranno i bisogni alimentari di 15mila persone». L’Unione Europea ha aumentato di 50 milioni di euro i finanziamenti per il 2025 all’assistenza a Gaza e in Cisgiordania, portandoli a 170 milioni. «Ma nessun aiuto può raggiungere chi ne ha bisogno senza un accesso sicuro e senza rimuovere gli ostacoli per gli operatori umanitari. Questo deve essere garantito», ha detto la commissaria Ue alla Gestione delle crisi, Hadja Lahbib. «La situazione a Gaza è catastrofica – ha denunciato il commissario Glenn Micallef –. Per più di ottanta giorni Israele ha bloccato l’ingresso degli aiuti e questo significa ottanta giorni senza cibo, senza medicine o altri prodotti vitali». Il governo israeliano aveva annunciato un “hub umanitario” nell’estremo sud di Rafah, dove convogliare la popolazione. Ma non è ancora pronto e il piano non ha ottenuto il sostegno dell’Onu e delle Ong, che si oppongono all’ennesimo trasferimento dei civili. Dunque, al momento, gli aiuti umanitari sono bloccati appena oltre il confine interno della Striscia. È impasse sul trasporto interno e sulla distribuzione.

Non si interrompono i raid. Sarebbe stato colpito l’ospedale al-Awda, nel nord. Stando alle fonti controllate da Hamas, sarebbero 82 i morti e 262 i feriti in una giornata: 3.509 e 9.909 dalla ripresa della guerra a metà marzo.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI