sabato 13 luglio 2013
​Ucciso dai qaedisti di al-Nusra un leader dell'Esercito libero siriano. I jihadisti avrebbero rifiutato la messa a punto di un attacco anti governativo congiunto e accusano i rivali di essere «infedeli». L'Els promette vendetta.
EDITORIALE Se in Siria prevale l'anima di al-Qaeda si spegne la speranza dell'opposizione di Riccardo Redaelli
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È guerra fra l’Esercito libero siriano (Els) e i combattenti anti-Assad vicini ad al-Qaeda dopo l’uccisione di un comandante dell’Els, Kamal Hamami, ad opera di miliziani jihadisti dello Stato islamico di Iraq e Levante (Isi). L’assassinio, avvenuto nelle montagne a Nord della città siriana di Latakia giovedì sera, è stato reso noto da uno dei portavoce dell’Els: «Hamami (esponente di spicco dell’Esercito degli insorti in Siria, membro del Consiglio supremo militare, conosciuto come Abu Basir, ndr) stava incontrando membri dello Stato islamico in Iraq e nel Levante per discutere piani di battaglia. Mi hanno telefonato per dirmi che lo hanno ucciso e che uccideranno tutti i membri del Consiglio supremo militare», ha spiegato all’emittente Bbc Qassem Saaddeddine. Ulteriori dettagli sono stati raccontati dall’unico sopravvissuto alla strage: gli estremisti avrebbero rifiutato la messa a punto di un attacco anti-governativo congiunto e accusato i rivali di essere «infedeli». Poi, l’uccisione a bruciapelo di Hamami e di suo fratello. A questo punto, con l’Els che promette vendetta, lo scenario è quello di un conflitto nel conflitto. Secondo alcuni analisti, proprio la frizione interna al fronte ribelle avrebbe permesso all’esercito di Assad di riguadagnare ampie fette di territorio, decisive perché a ridosso di infrastrutture strategiche per il rifornimento di armi e uomini. Il fronte islamista non è sguarnito di volontari: secondo stime dell’Els, gli estremisti sunniti sarebbero circa 17mila, soprattutto stranieri. L’ondata di volontari può essere collegata anche alla chiamata alle armi di Yusuf al-Qaradawi, forse il più influente predicatore sunnita, lo scorso 31 maggio: «Chiunque abbia un addestramento a combattere, chiunque ne abbia la capacità... mi appello ai musulmani perché vadano ad aiutare i fratelli in Siria». Al-Qaradawi, 86 anni, egiziano espatriato in Qatar 50 anni fa, è una celebrità coccolata da Doha. A ben vedere, comunque, neanche le brigate estremiste paiono compatte in Siria: in primavera, Abu Bakr al-Baghdadi, numero uno di al-Qaeda in Iraq, cioè della formazione sedicente “Stato islamico di Iraq e Levante”, aveva annunciato la fusione con i miliziani del Fronte al-Nusra (in arabo Jabhat al-Nusra), una brigata jihadista nata in Siria nel gennaio del 2012. Gli uomini di al-Nusra non sono gli unici discepoli della guerra santa in Siria, ma al momento sembrano i meglio forniti di armi ed elementi addestrati. Quella della fusione è stata «una decisione presa senza consultarci», ha tagliato corto Ayman al-Zawahiri, capo di al-Qaeda globale, in un video messaggio del 15 giugno scorso. Quindi, la dirigenza di al-Qaeda caldeggia una collaborazione in terra di Siria fra sigle cugine, ma non un matrimonio, «che danneggerebbe tutti gli jihadisti». Per Zawahiri, infine, al-Nusra è «un ramo indipendente di al-Qaeda in Siria». Che cosa si intenda per indipendenza in una rete terroristica non è chiaro, ma la Commissione intelligence degli Stati Uniti ha iscritto al-Nusra sulla lista del terrore nel dicembre del 2012. Messi in difficoltà dall’esercito regolare e dai ribelli estremisti, la Coalizione siriana, ombrello politico dell’insurrezione, e l’Esercito libero siriano hanno rinnovato la loro richiesta di armi alla comunità internazionale, sottolineando di aver «già introdotto le misure necessarie per il controllo pieno e accurato di tutte le forze armate» sotto loro comando. Il timore che gli aiuti finiscano nelle mani sbagliate, però, è elevato: negli Stati uniti così come in Europa.
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