lunedì 4 giugno 2018
La Commissione diritti umani del Colorado si era pronunciata contro il titolare del negozio per discriminazione, ma ora la Corte Suprema ribalta la sentenza
l pasticciere Jack Philips nel suo negozio (Ansa)

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La Corte suprema Usa ha dato ragione a un pasticciere cristiano del Colorado che in nome dell'obiezione di coscienza di natura religiosa si era rifiutato di fare una torta a una coppia gay per le sue nozze in nome del Primo Emendamento. Il collegio non ha deciso sulla questione più generale se un esercizio commerciale può negare il proprio servizio agli omosessuali ma si è limitato a censurare la Commissione per i diritti umani del Colorado, che si era pronunciata contro il pasticciere sostenendo che aveva violato la legge statale anti discriminazione.

Una legge, quest'ultima, che vieta ai commercianti di rifiutare i propri servizi in base alla razza, al sesso e allo stato maritale. Ma per la Corte suprema (7 sì e 2 no) la Commissione per i diritti civili del Colorado ha mostrato ostilità verso la religione. Il giudice Anthony Kennedy, che con il suo voto aveva aperto al riconoscimento delle nozze gay negli Stati Uniti nel 2015, ha affermato nella sua opinione di maggioranza che la questione "deve attendere una ulteriore elaborazione".

Protagonisti della vicenda il pasticciere Jack Phillips e i promessi sposi David Mullins e Charlie Craig, che nel 2012 si erano visti negare la torta per le loro nozze. Un caso che aveva diviso l'America: da un lato gli attivisti dei diritti gay schierati con la coppia, dall'altra i sostenitori di Philips e della sua pasticceria Masterpiece Cakeshop: secondo questi ultimi, la torta nuziale, a differenza di qualsiasi altro dolce, rappresenta l'istituzione del matrimonio e quindi è nei diritti religiosi dell'uomo rifiutarsi di prepararla.

Ricorsi analoghi sono pendenti, incluso uno alla Corte suprema da parte di un fiorista che si è rifiutato di vendere fiori per un
matrimonio gay.

Il caso di Jack Philips era stato discusso lo scorso dicembre alla Corte Suprema. I giudici si erano divisi fra loro, rivelando posizioni contraddittorie anche al loro interno. Quattro giudici si erano schierati a favore e quattro contro la libertà religiosa dell'artigiano. Gli occhi erano dunque puntati sul giudice Anthony Kennedy, che, nell'ascoltare le motivazioni di Phillips era sembrato scettico, ma aveva anche ammesso che costringerlo a preparare la torta non sarebbe «rispettoso né tollerante del suo credo religioso».

Ora i giudici hanno votato 7 a 2, ritenendo che nei primi gradi di giudizio il pasticciere non si sia potuto difendere in una situazione di sufficiente "neutralità" e che ci sia stata una "ostilità" nei suoi confronti a causa del suo credo religioso.

La sentenza era molto attesa, e se da un lato non ha rappresentato l'affermazione assoluta della priorità dei diritti religiosi, come alcuni si aspettavano, è comunque una vittoria per Jack Phillips. "È un'enorme vittoria per i diritti religiosi dei cittadini", ha commentato Mat Staver, presidente dell'organizzazione conservatrice Liberty Counsel. "Le persone non possono essere costrette a trasmettere un messaggio che vìola la loro coscienza". L'American Civil Liberties Union, che rappresenta la coppia omosessuale, ha invece ribadito che la Corte Suprema si è pronunciata solo in parte a favore del pasticciere, senza istituire di fatto deroghe o sancire il diritto all'obiezione di coscienza per i commercianti per motivi religiosi.

Lo scorso febbraio il giudice californiano David Lampe aveva dato ragione a Cathy Miller, proprietaria di una pasticceria di Bakersfield che si era rifiutata di vendere una torta nuziale a Eileen e Mireya Rodriquez-Del Rio, che avevano fatto causa. «Una torta nuziale è un'espressione artistica della persona che la prepara – ha scritto il giudice –. Miller è una cristiana praticante e si considera una donna di una fede profonda». Secondo il giudice, costringere un pasticciere a preparare una torta per un matrimonio gay, se è in contrasto con le sue convinzioni religiose, è una violazione del Primo Emendamento della costituzione Usa, che tutela la libertà di espressione.



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