sabato 24 maggio 2014
COMMENTA E CONDIVIDI
​Si parla oggi di generazione always on, «sempre connessa», e di persone nate con un telefono cellulare in mano. Che significato ha tutto ciò?La generazione always on è caratterizzata dall’essere costantemente raggiungibile grazie al proprio dispositivo mobile. Vive in una condizione di fiducia e disponibilità, in una sorta di dialogo incessante con il mondo. È anche una generazione iperstimolata, composta da drogati di informazione e connessione che hanno bisogno di far circolare e ricircolare informazioni dalla mente biologica a quella delle reti. Costruisce la propria identità online attraverso i social media e vive dell’eccellente reputazione che riesce a procurarsi curando il proprio profilo e i propri contatti. È quasi letteralmente «inserita» nella mente aumentata. Possiamo spingerci fino a sostenere che la generazione always on giunge a vedere il mondo in modo molto diverso dalle generazioni immediatamente precedenti.Per questa generazione il mondo è sia globale sia geo-localizzato, allo stesso tempo. Ovunque si trovino, sono potenzialmente in contatto con il mondo intero. Come ha già osservato Doug Rushkoff, al giorno d’oggi i bambini non si limitano a guardare la televisione, come facevano i loro genitori, interagiscono con essa. Sono multitasking, e, come il ragazzo di Ritorno al futuro, il film di Spielberg, possono gestire diverse «finestre» in una volta. La loro intelligenza si affida alla connessione con ipertesti colmi di riferimenti e tag, ipertesti che hanno gli stessi utenti al loro centro. I giovani sono «amici» già a tre o quattro gradi di separazione, mentre i loro nonni avevano bisogno almeno di stringere la mano a una persona più di una volta per considerare quella persona un «amico».Detto questo non si può veramente parlare di qualche gap generazionale tra genitori e figli. Dobbiamo pure riconoscere che le generazioni si mescolano e che immigranti o nativi digitali sono sempre più vicini precisamente perché sono ugualmente digitalizzati. Ma è anche la generazione «dalla bassa soglia di attenzione». Si sente e si legge molto oggi in merito alle ripercussioni dei nuovi media e ai loro presunti effetti deleteri sulle menti dei nativi digitali. In altre parole, è preferibile che i contenuti – libri, media, notizie, film – siano brevi, veloci, facilmente fruibili come un Sms o un tweet. Pero non è detto che questa sia una cosa negativa.
Nicholas Carr si chiede con ansia se «Google ci renda stupidi», se Internet «alteri il nostro modo di pensare rendendoci meno capaci di digerire ampie e complesse quantità di informazioni, come libri o articoli di riviste». Dal mio punto di vista, è meglio chiedersi se l’elaborata articolazione dei messaggi non contrasti con l’inevitabile accelerazione della vita e della cultura introdotta dall’elettricità, a partire dall’avvento del telegrafo. I ritmi di vita e di apprendimento sono stati completamente alterati dalla rapida successione di enormi cambiamenti tecnologici, che includono il telefono, la radio, la televisione, i personal computer, Internet, i telefoni cellulari e le tecnologie mobili in generale. L’attenzione a breve termine non vuol dire necessariamente attenzione debole, può significare attenzione veloce.Una cosa di cui i critici della cultura dello schermo non riescono a rendersi conto è che elaborare un’immagine richiede meno tempo rispetto all’elaborazione di anche solo una dozzina, figuriamoci un centinaio, di parole. L’attenzione a breve termine è quello che ci vuole per far fronte a richieste rapide, ma non preclude un’attività di pensiero più profonda. Quando hai davvero bisogno di approfondire e concentrarti, puoi farlo. Non è più una questione di immagazzinare informazioni. Perché preoccuparsene, dato che è tutto intorno a te? È più che mai una questione di contesto e di interesse. I ragazzini pensano di non amare lo studio perché il sistema educativo fallisce sistematicamente nel coinvolgerli. E questo li manda fuori di testa.Da parte sua, come non citare le geremiadi di Sherry Turkle a proposito del fatto che le tecnologie della comunicazione stanno isolando le persone, limitando le reali interazioni umane, in una «realtà virtuale che non è altro che una brutta imitazione del mondo vero»? Perché sento una strana sensazione di déjà vu? Perché ho già sentito tutto ciò a proposito della televisione e non si è rivelato vero, quindi ho la tendenza a dubitare. In realtà, la mia esperienza è che, almeno per quanto riguarda i miei studenti, sì, è vero, loro non leggono molto, ma di certo sanno come visionare e esplorare Internet, trovare contenuti pertinenti e focalizzarsi sul materiale da loro selezionato. Stupido è chi non usa Google. Per quanto riguarda l’isolamento, possiamo rispondere a Turkle che Twitter, le email, i social media, piuttosto che isolarci in camera nostra, davvero ci mettono continuamente in contatto gli uni con gli altri. La vera domanda è perché nessuno di tanti critici dell’impatto della rete sui giovani non vede che il loro compito è di adattarci a una profonda rivoluzione epistemologica e che in generale ci arrivano abbastanza bene ritrovando come Pinocchio la loro umanità oltre la macchina.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: