mercoledì 19 gennaio 2022
Lo scontro non risparmia chi cerca di scappare dalle violenze: una bimba di 7 anni tra le vittime dell’incursione sulla foresta di Loikaw, nello Stato Kayah. L’obiettivo è terrorizzare la popolazione
Il dolore di una madre al funerale del figlio tra le vittime delle repressioni dei militari a Mandalay

Il dolore di una madre al funerale del figlio tra le vittime delle repressioni dei militari a Mandalay - Ansa

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Il conflitto ormai aperto in Myanmar che sta svuotando intere città del Paese e provocando un esodo della popolazione davanti ai bombardamenti e ai rastrellamenti dei militari agli ordini della giunta al potere del primo febbraio 2021, non risparmia nemmeno chi sperava di avere trovato un rifugio dalle violenze.

Il mattino di lunedì un’incursione aerea ha colpito i profughi che si erano rifugiati nella foresta attorno alla città di Loikaw, capoluogo dello Stato Kayah, roccaforte cristiana. Cattoliche le tre vittime, fra cui una bambina di sette anni, e sette i feriti, parte di un gruppo fuggito dal vicino villaggio di Moso. Lo stesso dove il 24 dicembre erano stati ritrovati i resti carbonizzati di 35 persone, pure di fede cattolica. Il 24 dicembre a Hpruso, nello stesso Stato, automezzi in transito su una strada di grande comunicazione erano stati attaccati e incendiati e i 38 passeggeri trucidati. Azioni efferate che hanno come obiettivo quello di terrorizzare la popolazione civile e di isolare le forze che si oppongono al regime.

Ieri, segnala l’agenzia Fides, un breve rito funebre celebrato da padre Jacob Khun ha ricordato le nuove vittime e nonostante le parole di speranza, la commozione e la paura erano palpabili. Molti temono un’ulteriore aggravamento del conflitto in cui la popolazione civile si trova tra due fuochi: da un lato le forze armate e dall’altro il coordinamento tra le Forze di difesa popolare impegnate nella difesa delle comunità sotto attacco e le milizie che in molte regioni del Paese proteggono le etnie di cui sono espressione ma anche contendono ai militari governativi il controllo di infrastrutture e risorse. In questo contesto la resistenza segnala l’utilizzo crescente dell’aviazione che ritiene evidenzi le difficoltà delle truppe a operare in aree ostili dove starebbero subendo forti perdite. I fatti più recenti sono anche la risposta più chiara e purtroppo negativa alla sollecitazione di una settimana fa dell’inviato speciale Onu, Noeleen Heyzer, al regime di fermare gli attacchi contro la popolazione civile di Loikaw.

La città è oggi svuotata dalla maggioranza degli abitanti che si sono uniti a una massa crescente di fuggiaschi di cui sono parte centinaia di monaci buddhisti i cui templi e monasteri sono stati colpiti insieme a diversi luoghi di culto cristiani. Le sei parrocchie cattoliche della città sono spopolate ma la Cattedrale di Cristo Re ancora accoglie decine di profughi, come fanno altre chiese nei dintorni rischiando rappresaglie. Come è successo il 13 gennaio per quella del Sacro Cuore di Gesù a Doukhu, colpita da un attacco aereo.

Come ricorda Fides, i fedeli, esposti alla fame, al freddo, all’indigenza, alla violenza, necessitano di assistenza materiale di conforto spirituale. Tuttavia, mentre crescono ogni giorno dimensioni e necessità di una popolazione in fuga, le forze in campo continuano a negare spazio al dialogo. D’altra parte, il governo formato in clandestinità e le organizzazioni umanitarie presenti nonostante le limitazioni e i rischi, non riescono a concretizzare iniziative internazionali che vadano oltre la semplice condanna delle violenze e la negazione di legittimità al regime.

Da sapere / In 400mila sono in fuga

In Myanmar va crescendo rapidamente il numero dei profughi interni in fuga dalle violenze del regime e dal conflitto. Il numero stimato potrebbe essere attorno ai 400mila. Nel solo Stato orientale di Kayah, circa 350mila abitanti di etnia omonima, per metà battezzati, si calcola che 170mila abbiano dovuto abban-donare le loro case e tra questi i due terzi dei 50mila residenti del capoluogo Loikaw.

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