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Il ministro Elon Musk a colloquio con il premier indiano Narendra Modi a Washington - Reuters
Ma quale conflitto di interessi? Il miliardario Elon Musk, ministro (non eletto) per l’efficienza governativa dell’amministrazione Trump, non perde occasione per ricordare che, no, il suo prestigioso incarico non è incompatibile con la proprietà di sei grandi aziende. L’ultima si è presentata quando, parlando alla stampa convocata nello Studio Ovale per la firma del decreto con cui il presidente gli ha conferito i superpoteri per snellire la burocrazia federale, è stato più volte incalzato sui contratti statali di cui beneficiano le sue imprese. «Non sono io a presentare le offerte – ha sottolineato – ma la gente che ci lavora».
Per il tycoon, Musk «è un uomo di grande successo» imprenditoriale, la persona giusta a cui affidare la riorganizzazione dell’apparato statale. La valanga di tagli e licenziamenti da lui disposta ricorda, non a caso, l’approccio adottato quando, nel 2022, comprò Twitter, il social network (poi diventato X) rilanciato dopo aver messo all’asta persino le sedie da ufficio e le macchine per il caffè. Lo spettro del conflitto di interessi che grava sul suo ruolo, tuttavia, sta diventando sempre più ingombrante.
Secondo il New York Times, undici delle agenzie federali finite nel mirino del Doge, il Dipartimento per l’efficienza governativa, hanno contenziosi aperti con le aziende che fanno capo al ministro-imprenditore. La gran parte sarebbero procedimenti avviati dalla National Labor Relations Board, l’autorità a garanzia dei diritti dei lavoratori, resa temporaneamente inoperativa dal benservito disposto da Trump nei confronti di un membro del consiglio. Tra i più rilevanti c’è quello aperto dalla Federal Aviation Administration a sanzionare con una multa da 283mila dollari la sua SpaceX additata per aver autorizzato il lancio di un razzo, quello che nel 2023 mandò in orbita un satellite da dieci tonnellate, i cui motori non avevano ancora superato i test di sicurezza. La lista è lunga e la giustizia amministrativa, si spera, farà il suo corso.
Nel frattempo, però, Musk, che della campagna presidenziale repubblicana è stato il donatore più generoso con 265 milioni di dollari, si appresterebbe a ricevere una commessa da 400 milioni dal Dipartimento di Stato americano per la fornitura di una versione blindata dei Cybertruck prodotti dalla sua Telsa. Il magnate di Pretoria, un misto di genio, sregolatezza e spacconeria, si professa esecutore della lotta trumpiana contro la burocrazia, gli sprechi e gli abusi. Tuona contro i giudici che contestano in punta di diritto gli ordini esecutivi della Casa Bianca gridando alla «tirannia giudiziaria» e a tentati «colpi di stato».
Ieri, nelle vesti di alto ufficiale Usa, è intervenuto (in videochiamata) al World Governments Summit di Dubai per illustrare il repulisti in corso nell’amministrazione federale approfittandone per ribadire la disponibilità a collaborare con gli Emirati Arabi Uniti per decongestionare il traffico locale con un progetto simile a quello realizzato dalla sua Boring Company a Las Vegas. Poi, alla Blair House di Washington, ha incontrato il primo ministro indiano Narendra Modi con cui ha discusso, così conferma la stampa indiana, l’agognata licenza necessaria a Starlink per operare a New Delhi e l’altrettanto inseguito avvio di una fabbrica Tesla a Bharat. Secondo un nuovo sondaggio realizzato da YouGov per l’Economist, il visionario sregolato piace solo al 38% degli americani.