I vescovi González e Coppola (a destra) di fronte all’opera ad Acapulco
Germán, Iván, Rubén, Juan Miguel, Moises, Miguel Gerardo. Si chiamavano così i preti assassinati da gennaio in Messico, al momento il Paese più letale dove esercitare il ministero. L’ultimo è stato ammazzato il 18 agosto. I loro nomi sono stati scritti nei murales vicino alla chiesa di San Cristóbal di Acapulco. Accanto, quelli degli altri sacerdoti (20 tra il 2012 e il 2017), dei giornalisti (70 dal 2006) e delle migliaia e migliaia di persone massacrate ad Acapulco e nello Stato del Guerrero, una delle frontiere più cruente della narco-guerra che dilania il Paese. A costruire questo colorato monumento alla memoria – inaugurato ieri – la Fondazione Santina, da tempo impegnata nell’assistenza sul campo nelle “periferie della globalizzazione”.
In un Messico dove i corpi degli uccisi vengono abbandonati in furgoni frigo dalle stesse autorità – come è accaduto la scorsa settimana nel Jalisco –, il complesso di murales vuole restituire dignità agli scomparsi. E speranza al resto della società che si riappropria dello spazio pubblico. Proprio quello che la criminalità cerca di sottrarle. «Dietro ogni numero c’è un nome, un volto, un’esistenza spezzata, una famiglia che soffre, una società terrorizzata. Quest’opera è un segno di resistenza e di fede nella vita», spiega, dal Messico, dove si trova in questi giorni, monsignor Luigi Ginami, presidente di Santina. Per realizzarla, la Fondazione ha collaborato con l’arcidiocesi di Acapulco, in particolare con la Pastorale sociale, diretta da padre Octavio Gutiérrez. L’arcivescovo Leopoldo González González e il nunzio Franco Coppola hanno visitato il monumento in segno di vicinanza.