sabato 29 gennaio 2011
Scontri e incendi, decine di migliaia in piazza anche a Suez e Alessandria: 20 i morti, 900 i feriti. Imposto il coprifuoco in tutto l’Egitto. Ma anche dopo il tramonto la capitale si è trasformata in un campo di guerra: roghi nelle sedi del partito di governo, tv di Stato assediata Schierati i blindati militari nel centro. Mubarak scioglie il governo e Obama si «sgancia».
- Se crolla il «faraone» il Medio Oriente rischia il caos di Federica Zoja
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Sotto una nuvola di fumo nero e acre brucia la città del mo­derno faraone, illuminata nel buio dai fuochi che si alzano dalle carcasse delle macchine e ormai in preda al saccheggio di massa. In se­rata, con un discorso alla tv di Sta­to, il presidente Mubarak si è rivol­to direttamente al popolo esortan­dolo a smetterla con la violenza e annunciando le dimissioni del go­verno che «da domani sarà nuovo». La giornata era iniziata con una ma­nifestazione, con una grande voglia di libertà che ha sfidato un impres­sionante dispiegamento di forze messe in campo dal vecchio rais. «La Mubarak!», no a Mubarak, è il grido che risuona sempre più forte e rim­balza dal Cairo ad Alessandria, da Suez a Porto Said in mezzo agli spa­ri e ai cupi rimbombi delle armi da fuoco. «La giornata della collera» al culmine della protesta popolare che dura da tre giorni, ieri è diventata una giornata di guerra tra il regime egiziano e il suo popolo, segnando un drammatico punto di non ritor­no dagli esiti imprevedibili.È passato da poco mezzogiorno quando la gente dopo la preghiera del venerdì in Moschea si dirige ver­so piazza Tahrir, simbolo dell’indi­pendenza del Pae­se, ma tutte le stra­de d’accesso sono sbarrate dai reparti antisommossa, mi­gliaia di poliziotti in tuta nera e con il manganello ben in mostra. Non c’è al­cuna possibilità di coordinamento tra i manifestanti. Fin dalle prime ore del mattino non ci si può con­nettere a internet, bloccati pure i te­lefoni cellulari e i satellitari. Il go­verno egiziano, l’alleato privilegia­to dell’America e dell’Europa nel mondo arabo si comporta come la Cina comunista e la Birmania mili­tarizzata. Ancora una volta sem­brerebbe che Mubarak si stia ag­giudicando la partita. In città pic­coli gruppi dimostranti si fermano davanti ai cordoni di sicurezza, gi­rano dietro l’angolo per rispuntare da un’altra parte.La scintilla della rivolta s’accende davanti alla grande Moschea di al-Fath all’inizio del lungo viale Ram­sis che conduce alla piazza centra­le. Ci troviamo in mezzo a una folla un po’ disorientata, non sa cosa fa­re ma ecco che all’improvviso siamo investiti dai gas lacrimogeni spara­ti ad altezza d’uomo. La gente arre­tra poi forma vari cortei che si in­grossano man mano e avanzano lungo il viale. Sono soprattutto gio­vani in jeans e maglietta, gente sem­plice e normale mentre sono pochi gli uomini barbuti in tunica grigia, il distintivo degli integralisti come i Fratelli musulmani. I dimostranti sventolano le bandiere nazionali sollevano cartelli con la scritta «Mu­barak c’è un aereo pronto anche per te!», alludendo alla fuga precipitosa del dittatore tunisino Ben Ali. Dal­l’alto del ponte 6 ottobre molti si fer­mano a guardare, ma poi da spetta­tori passivi si trasformano in prota­gonisti attivi, si uniscono ai mani­festanti battendo le mani e urlando lo slogan contro il rais. Decine di mi­gliaia di persone sono scese in piaz­za per la più imponente dimostra­zione di protesta mai avvenuta ne­gli ultimi trent’anni nel lungo regno dal faraone (così gli egiziani chia­mano Mubarak), che sembra ormai agli sgoccioli.Compaiono ragazzi con la masche­ra sul volto davanti all’hotel Shera­ton. Vedo una camionetta della po­lizia data alle fiamme sulla Corni­che, l’elegante lungo fiume che co­steggia il Nilo. Bruciano copertoni e si improvvisano barricate. Gli scon­tri sono sempre più violenti e si al­largano ad altri quartieri della capi­tale. Gli incidenti scoppiano anche davanti all’università al-Azhar, cen­tro intellettuale dell’Islam, viene presa d’assalto la sede del Partito nazionale democratico di Mubarak. Assediata per ore dai manifestanti pure la sede della tv di stato. La po­lizia dopo aver usato idranti e lacri­mogeni per disperdere la folla pas­sa alle maniere forti: carica la folla e la investe con le camionette. Fra i dimostranti si aggirano in borghe­se gli uomini del Mukabarat, i ser­vizi segreti egiziani che colpiscono alle spalle. Corre voce che ci siano due morti fra i manifestanti, colpi­ti mentre tentavano di entrare in piazza Tahrir. Ci sono 13 vittime an­che a Suez, secondo fonti mediche, e due a Mansura. Cinque morti so­lo al Cairo, 20 in tutto il Paese, oltre 900 i feriti nella capitale. Il governo proclama il coprifuoco fino alle set­te di questa mattina. Prima al Cai­ro, ad Alessandria e Suez. A Suez, l’altro principale focolaio di rivolta, l’esercito intervenuto per sgombe­rare il centro avrebbe fraternizzato con i rivoltosi.A un certo punto, quando la situa­zione è ormai sfuggita di mano, an­che al centro del Cairo si vedono comparire i blindati dell’esercito e i carri armati. Qualche colpo d’arti­glieria pesante viene sparato. Brut­to presagio per i giorni a venire. «L’i­nizio della fine per il regime di Mu­barak » dice el-Baradei, l’ex diretto­re dell’Agenzia per l’energia atomi­ca dell’Onu e Premio Nobel per la pace, tornato in patria per candi­darsi alla guida del futuro governo di transizione. Dopo aver parteci­pato alla preghiera nel sobborgo di Giza, anche lui ha sfilato con la fol­la.Ma questa è una rivolta dal basso senza leader che si impongono dal-­l’alto, e c’è qualcosa di emblemati­co nel fatto che el-Baradei ieri non abbia potuto unirsi ai dimostranti, riportato a casa sua dalle forze di si­curezza. Un presidio è rimasto da­vanti a casa fino a sera, ma non è ai domiciliari.Cade il buio al Cairo e l’incendio è ormai ben lontano dallo spegnersi. Mentre sto scrivendo suonano le si­rene d’allarme dell’hotel che s’af­faccia su piazza Tahrir. Gli spari si fanno sempre più vicini, sotto il cen­tro commerciale è preso d’assalto e ormai brucia. Saccheggiati gli altri centri commerciali e alcune ban­che. Tutto attorno la polizia spara ormai a vista d’uomo. L’Egitto bru­cia e l’incendio rischia di propagar­si all’intero mondo arabo. La situa­zione è «molto fluida» commenta­no preoccupati dalla Casa Bianca che si dice pronta a rivedere la sua politica di aiuti militari ed econo­mici al Cairo mentre significativa­mente Obama «non ha ancora de­ciso di telefonare» a Mubarak. Per tutto il pomeriggio si è atteso in­vano un discorso televisivo di Mu­barak. Poi l’affondo della Casa Bian­ca: la situazione che si è venuta a creare «può essere risolta solo dal popolo egiziano». E il vecchio rais, ancora più solo, ha continuato a ta­cere.
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