mercoledì 17 novembre 2010
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Nessuna tregua. La speranza che l’ondata di attacchi contro i cristiani in Iraq potesse arrestarsi, anche solo per un giorno, è andata delusa. Frustrata dall’ennesimo episodio di una campagna di odio che sembra non conoscere soste. Ieri nella città di Mosul – a 450 chilometri dalla capitale Baghdad – due civili sono rimasti feriti in seguito all’esplosione di una bomba diretta contro la casa di una famiglia cristiana. Lo hanno reso noto fonti della sicurezza locale.Solo due giorni fa, e sempre a Mosul, si era registrato l’ultimo attacco. Due cristiani sono state raggiunti e assassinati da due killer nelle loro case. Secondo il sito Ankawa.com, oltre al duplice omicidio, un ordigno è stato fatto esplodere davanti alla casa di una famiglia cristiana della città.Solo ieri si sono appresi i dettagli dell’agguato. L’omicidio di uno dei cristiani, il meccanico Nashwan Khidr, è stato eseguito da uomini armati non identificati, che hanno fatto irruzione nella sua abitazione, uccidendolo a colpi di pistola. Analoga la dinamica dell’omicidio di Nabil Ghanem Shafo, impiegato presso l’Ente per la Trasparenza, ma in questo caso gli assassini indossavano la divisa della polizia. L’ordigno ha invece causato il ferimento di due passanti.LA STORIA DI AYSARLa storia di Aysar è un’icona della dispersione delle famiglie cristiane irachene nel mondo. Lui vive da alcuni mesi in Italia, un fratello sta in Germania, un altro fratello stava fino a due mesi fa in Svezia, una sorella è con suo marito – minacciato di morte – in Australia, mentre tutti i suoi nipoti vivono negli Stati Uniti. «Stavo a Baghdad al-Jadida, uno dei nuovi quartieri della capitale – racconta ad Avvenire –. Avevo un ottimo lavoro come ingegnere civile, mentre mia moglie insegnava economia al Politecnico. Sembrava tutto relativamente tranquillo nel nostro quartiere, fino a quando gli attentati sono arrivati fin là. Abbiamo deciso di partire lontano, per l’Europa, anche per il bene di nostro figlio di 7 anni che sussultava dallo spavento ad ogni scoppio di bomba. Abbiamo messo in vendita tutto quello che si poteva: le nostre due auto, l’arredo della camera da letto, la cucina: tutto per ricavare 600 miseri dollari. Dovevamo anzitutto raggiungere un Paese vicino, Siria o Giordania, ma siamo stati respinti ben tre volte. Alla quarta volta ce l’abbiamo fatta dietro il pagamento di una lauta tangente». Quanto, sui 1000 dollari? chiediamo. «Fossero solo 1000 dollari tutti gli abitanti dell’Iraq sarebbero andati via – risponde –. La cifra va moltiplicata almeno per quindici». «Io sono stato fortunato. Ho ricevuto una lettera d’invito che mi ha permesso di raggiungere l’Italia dove ho ottenuto asilo umanitario, ma mio fratello Sumer ha dovuto affidarsi ai trafficanti che gli hanno fatto fare un lungo giro per l’Europa orientale prima di approdare in Svezia».Ma niente lieto fine per lui in questo Paese scandinavo diventato, già da molti anni, meta di molti iracheni cristiani che si concentrano in particolare nella località di Södertälje, dove è cosa normale sentire parlare in aramaico, la lingua di Cristo. «Ma la politica di Stoccolma nei confronti dei rifugiati – precisa Aysar – è diventata più rigida a partire dal 2007 perché molti migranti marocchini ed egiziani si spacciano per iracheni con la speranza di ottenere asilo. Così le autorità svedesi hanno respinto la sua richiesta d’asilo e lo hanno costretto a prendere l’aereo per Erbil, nella zona autonoma curda, ritenuta più sicura di Baghdad». Ma fu per poco, visto che è mancato proprio cinque giorni fa. «Stroncato dal dolore», secondo Aysar. Lui stesso si è sottoposto in Italia a tre interventi per problemi al cuore. «Abbiamo molte preoccupazioni. Non usufruiamo di nessun sussidio, non posso svolgere attività che richiedono sforzo fisico, e così mia moglie, ex docente universitaria, fa la cameriera in un ristorante per permetterci di pagare l’affitto e le bollette».Gli chiediamo se progetta di tornare un giorno a vivere in Iraq. «Lo farei immediatamente, se la situazione dovesse tornare alla normalità – risponde –. Abbiamo sempre vissuto in pace con i nostri connazionali musulmani. Ma ora sembra che ci sia un piano volto a svuotare l’Iraq, se non l’intero Medio Oriente, dai cristiani. Da soli, non abbiamo né i mezzi né la capacità di contrastarlo». E infine ha qualcosa da chiedere anche all’Italia: «L’Italia è tra i principali beneficiari dei progetti di ricostruzione delle infrastrutture in Iraq e le sue compagnie hanno investimenti un po’ ovunque. Mi aspetto che faccia di più per noi. Forse perché sono ancora attaccato, come molti iracheni, all’idea che questo Paese sia il cuore della cristianesimo in Europa». Camille Eid
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