domenica 15 agosto 2010
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Di fronte alla macelleria “Youssef” – solo carne halal e dolci arabi – i ragazzi bevono birra ai tavolinetti della taverna “La Mancha”. Una signora di mezza età sorseggia un thè al bar Beirut, a pochi metri dai polli arrosto di Anacapri. Ad ogni angolo, un bugigattolo promette chiamate telefoniche, collegamenti Internet e invio di denaro in Marocco a prezzi moderati. Sono le dieci di sera: Lavapies – il quartiere più multietnico di Madrid – è un incrocio di lingue e visi che vengono da lontano. Nella piazzetta centrale, la gente boccheggia per il gran caldo e sogna una fresca serata che non arriverà mai. Su una panchina, due madrilene ultraottantenni chiacchierano appassionatamente; dall’altra parte della piazza, la panchina è occupata da tre donne islamiche con il velo. Anche loro speravano di trovare in strada un po’ di fresco. Passa una vecchia Ford Fiesta: dai finestrini, spara una musica araba a tutto volume.Lavapies finì nell’occhio del ciclone dopo gli attentati di Madrid dell’11 marzo 2004: 192 morti, centinaia di feriti. Oggi, per la strada, non si avvertono tensioni: a passeggio ci sono donne con il velo fino ai piedi, ragazze in jeans strettissimi, uomini in caffetano bianco o con i bermuda a quadretti. E tantissime famiglie: marocchine, spagnole, romene, polacche.La capitale sembra aver retto all’urto: il terrore dell’11 marzo non ha violentato in profondità la convivenza quotidiana. Questo non significa che la Spagna sia esente da minacce e rischi. Secondo l’ultimo rapporto degli Stati Uniti sulla lotta contro il terrorismo nel mondo (relativo al 2009), il Paese iberico rappresenta ancora un punto strategico per i gruppi terroristici internazionali. Gli estremisti di ispirazione islamica – sottolinea il Dipartimento di Stato Usa – «invocano la riconquista dell’antica regione di governo musulmano nella penisola iberica che chiamano ancora Al Andalus, la liberazione delle due enclavi spagnole nordafricane di Ceuta e Melilla e il ritiro militare degli spagnoli dalle forze multinazionali in Afghanistan e Libano».Ma al di là della minaccia terroristica, ci sono punti caldi e nodi radicali – apparentemente minori – che inquirenti ed esperti seguono con grande attenzione. Soprattutto nel cosiddetto cono sud della Catalogna: da Tarragona a Lerida, Reus, El Vendrell. La Catalogna è la comunità autonoma con più musulmani stranieri (non spagnoli): sono 340mila contro i 130mila di Madrid e dell’Andalusia. Secondo El Pais quasi 20mila persone – in terra catalana – sarebbero vicine all’integralismo islamico. L’allarme riguarda in particolare la corrente salafita, che – per il sindacato della polizia spagnola in Catalogna – dominerebbe la principale moschea di Lerida e quella di Reus.Lerida – circa 140.000 abitanti, dei quali il 20% sono immigrati (in particolare magrebini e romeni) – è stato il primo municipio spagnolo ad avere proibito il burqa negli edifici pubblici: negli uffici, nelle scuole o negli ospedali. Le polemiche fra l’imam Abdelwahab Houzi e l’amministrazione municipale sono all’ordine del giorno. Il sindaco Angel Ros (socialista, cattolico praticante) ha assicurato che non tollererà «che nessun imam fondamentalista alteri la convivenza cittadina». Poi ha ordinato di chiudere la moschea di via del Nord per ragioni di sicurezza: vi pregavano in 1.200, quando la capacità legale è di 240 persone. L’imam ha risposto che il primo cittadino «cerca una scusa qualsiasi per giustificare» la chiusura del locale. Frizioni e accuse si moltiplicano.Delle 900 moschee esistenti in Spagna, oltre 50 sarebbero “salafiste” e 90 vicine alla corrente integralista tabligh: lo sostengono fonti delle forze di sicurezza statale, citate da El Mundo. Non esiste un allarme specifico, ma la proliferazione di alcuni filoni più radicali – in Catalogna, nella comunità di Valencia o nel Paese basco – viene seguita da tempo dai servizi spagnoli.Intanto, con l’aumento della popolazione araba in Spagna (1,5 milioni i musulmani), l’islam e le sue regole si sono trasformati poco a poco in un argomento «comune» nei dibattiti sociali. Diversi municipi catalani hanno seguito l’esempio di Lerida, proibendo il burqa negli edifici pubblici. Lo stesso ha fatto anche Galapagar, prima località in provincia di Madrid a prendere questo provvedimento: dei 33mila abitanti del piccolo municipio, circa 2.000 sono marocchini. Finora non c’è mai stato alcun problema a proposito del burqa, ma secondo il sindaco di Galapagar è meglio «prevenire» eventuali polemiche. Per la Commissione islamica di Spagna, invece, queste iniziative «stimolano l’islamofobia» con fini elettorali e populistici.
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