venerdì 29 ottobre 2010
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Erano quattro amici che volevano cambiare il mondo... Ti scopri a canticchiare Gino Paoli mentre Wael Farouq racconta com’è nato il Meeting del Cairo, che ha preso il via ieri sera davanti a 1500 persone. E invece, l’aula magna dell’Università statale gremita ieri sera di musulmani e cristiani, i ministri incuriositi nel fare gli onori di casa, il preside della facoltà di Giurisprudenza dell’Università islamica Al Azhar che rende omaggio al gesuita Christian Van Nispen dimostrano che non c’è nulla di velleitario. Anzi, proprio il caos no-stop del Cairo, fatto di clacson e di poliziotti che ti chiamano il taxi e poi pretendono la mancia dal taxista, un Paese che cresce del 5% grazie ai traffici di Suez ma non si sottrae alla morsa della povertà e le elezioni imminenti con cui l’Egitto si gioca la stabilità interna e la leadership nel Medioriente, insomma l’incertezza di questi mesi apre spazi alla società civile musulmana, che è la matrice del Meeting arabo.Quello che è stato inaugurato ieri nell’Università dove Obama ha lanciato il suo appello all’islam è il primo dialogo interreligioso promosso in terra araba da un gruppo di laici. L’iniziativa è di quattro amici: un professore di letteratura, Wael Farouq, il giudice Hossam Mekkawy, la vicepresidente della Suprema Corte Costituzionale Tahani al Jibaly, presidente della manifestazione, e il marito imprenditore. Tutti musulmani e ospiti da anni al Meeting di Rimini, che ha fatto breccia nel loro cuore e che ora "importano" in Egitto. La scommessa è pesante per tante ragioni: perché cade in un momento di passaggio – urne aperte a fine mese e clima da resa dei conti tra Mubarak e i Fratelli Musulmani, con le presidenziali sullo sfondo –, perché si tratta di un dibattito pubblico tra cristiani e islamici, un’autentica novità per le liturgie dell’establishment, perché il tema della bellezza può essere dirompente in un Paese dove la maggioranza delle donne lavora ma la quasi totalità porta il velo, se non il niqab, che lascia scoperti solo gli occhi. Esattamente come la moda occidentale, che si riprende i suoi spazi sotto le tuniche, il velo delle ragazze egiziane nasconde però una grande curiosità per il clima di amicizia e di apertura che circonda l’iniziativa. Sono duecento i giovani che hanno lavorato all’evento, tutti ragazzi "normali" che ascoltano Fayruz e stravedono per Mohamed Mounir, vestono Diesel, calzano Nike e relative imitazioni: per settimane, nel  quartier generale di El Mohandeseen, tra un koshari e una pizza, i volontari hanno coltivato il sogno di una bellezza che cambia il mondo. Un traguardo alla portata di tutti, per don Ambrogio Pisoni (Università Cattolica di Milano), uno dei relatori: "Ciascuno può cogliere la bellezza, perché Dio ci ha creati con il medesimo cuore". Tomismo allo stato puro. La teologia del cuore secondo Pisoni corrisponde a una "urgenza di esigenze ultime comune a tutti gli uomini, ma che si esprime con linguaggi diversi", ma il gruppo cairota fa un passo in più: un "concetto nuovo della relazione tra dialogo e differenza", ha spiegato anche ieri Farouq, può  smontare tanto le posizioni islamiche moderate che "si riducono a giustificare la nostra diversità rispetto all’Occidente come se fosse un peccato, oppure a ignorarla", quanto quelle estremiste,  che "dividono il mondo in due, la "casa" dell’Islam e la "casa" della miscredenza, prendendo a pretesto la diversità per fomentare lo scontro". Parole coraggiose nel momento in cui la tensione in tv si parla di arsenali nascosti nelle chiese e nelle moschee. Farouq vuole superare la nozione teologica di dialogo interreligioso perché "le religioni non dialogano, sono i credenti a farlo" spiega e "solo il dialogo attraverso il lavoro condiviso può condurci da un’illusoria comunione nella fede a una reale comunione nella vita". All’incontro del Cairo partecipa anche Sua Beatitudine, Antonios Naguib, patriarca di Alessandria dei copti cattolici, che nel concistoro del 20 novembre riceverà dal Papa la berretta cardinalizia. In Egitto vive la minoranza cristiana più numerosa in Medio Oriente (8 milioni su 80 milioni di abitanti), e la comun ità dei copti cattolici conta 250mila fedeli. L’artefice principale dell’evento cairota è Wael Farouq, docente di lingua araba all’università americana del Cairo, la stessa dove hanno studiato Rania di Giordania e il figlio di Mubarak. Qualche anno fa, dall’amicizia con uno studente ciellino in trasferta in Egitto,  è nato il suo interesse per la persona e l’opera di don Giussani, che in seguito lo ha portato alla scoperta del "Senso religioso" e al Meeting di Rimini. Il suo centro culturale  si chiama Tawassul, cioè "Comunione". La "liberazione" cui mira è quella dei "portatori di cultura" - insegnanti, medici, contabili, ingegneri, avvocati, docenti, studenti, ecc. contrapposti all’intellighenzia ufficiale - : "Per la prima volta, dopo tanto tempo, i portatori di cultura prendono l’iniziativa - spiega Farouq -: è un cambiamento qualitativo per il mondo arabo, che spiana la strada alla penetrazione della cultura nella società".Parole impegnative, come le sedi della kermesse:  l’Università del Cairo, l’Opera House e la Cittadella di Saladino, culla della storia nazionale. Ieri sera, vedendo la folla riempire il salone dell’università in cui Obama lanciò il suo messaggio all’Islam, Emilia Guarnieri, che il Meeting l’ha fondato in una pizzeria della riviera romagnola quarant’anni fa, confessava il suo "stupore assoluto". Più’ o meno quel che deve provare anche il governo egiziano: alla due giorni del Cairo hanno dato la loro adesione quattro ministri e ieri sera sembrava di essere al Meeting di Rimini.
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