domenica 19 settembre 2010
Il vescovo di Rumbek parla delle speranze del Sud in vista del referendum sull’indipendenza di gennaio: «Molte le insidie, il Nord ostacola il processo, ma siamo vicini a un appuntamento con la storia».
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«Ci stiamo avvicinando. Siamo pieni di speranza. Quel sogno che sembrava così irraggiungibile è ora a portata di mano, anche se, non possiamo non nascondercelo, conserviamo motivi di forte preoccupazione per quello che può accadere. C’è da mettere in conto la furbizia e la volontà di Khartum che la separazione non avvenga. Ma io resto fermamente un ottimista». Il vescovo di Rumbek, monsignor Cesare Mazzolari – di passaggio in Italia per alcune iniziative di solidarietà a favore di un progetto per la formazione di insegnanti in Sudan ad opera della associazione Cesar onlus (Coordinamento enti solidali a Rumbek), è dal 1981 che solca la terra del Sudan meridionale, e non c’è stata guerra, carestia, calamità naturale o pericoli legati al dover vivere in luoghi ancora primitivi che sia mai riuscita a incrinare la visione che un giorno si sarebbe realizzata la speranza del riscatto di un popolo sottomesso da una lunga e concreta schiavitù, e da una guerra che a più riprese è durata 40 anni. Dopo gli accordi di pace del 2005 ora è il momento di un nuovo appuntamento con la storia: il referendum per l’indipendenza del Sudan meridionale, africano cristiano-animista, dal nord arabo musulmano. Monsignor Mazzolari, le speranze ci sono tutte per il prossimo mese di gennaio 2011, ma una data certa e sicura sul referendum non è ancora stata fissata.«La data prevista dovrebbe essere quella del 9 gennaio, sulla tabella di marcia siamo è un po’ indietro, ma le urne comunque si apriranno. Semmai, è la strada che ci deve portare a quell’appuntamento con la storia del Sud Sudan che è cosparsa di molte insidie. Abbiamo notato un grande movimento che coinvolge Khartum e le bande del movimento armato del “Lord’s Resistance Army” di Joseph Kony. Un tentativo continuo di creare un clima di tensione verso la popolazione, anche con la distribuzione di armi nuovissime e con la corruzione di persone e clan. Tanti piccoli fuochi accesi per provocare paura, panico, insicurezza, per dire alla gente di stare lontani dal referendum. Da parte del Nord arabo c’è, soprattutto, l’intenzione di far vedere alla comunità internazionale una cosa: “Guardate, senza di noi il Sud non ce la può fare. La loro indipendenza porterà solo confusione e ancora una guerra senza fine”. Per far fallire il referendum, le ombre di Khartum stanno intossicando la mente di tanti nostri giovani del popolo Dinka. Ragazzi con la forza dei buoi, ma senza istruzione, facili da convincere con i soldi e le armi, perché la povertà, dopo anni di guerra, è ovunque e perché non c’è cibo per tutti.Dunque è scontata una vittoria piena della secessione da Khartum?Nonostante ci sia un’enorme vena emotiva è forte la volontà di emanciparsi, anche dalla falsa pubblicità che il Nord fa di un Sudan raccontato come multiculturale, multireligioso, multietnico: un solo popolo. Niente di vero, fino a quando nella Costituzione del Sudan c’è una legge come la sharia. Anche se si applica solo al Nord, questo significa rimanere comunque schiavi. Perché non c’è altra identità riconosciuta che l’islam, il resto, è solo tollerato. Dall’invasione islamica del 1200, per secoli, il popolo del Sud Sudan ha subito. Oggi questo stesso popolo cerca la sua identità. L’indipendenza è un’espressione chiara, che nessuno può più fermare. Certo ci sarà della sofferenza, soprattutto economica, da parte del Nord, che resta tagliato fuori dalle risorse naturali, come il petrolio. Ma anche per il Sud non sarà facile. Lo scenario che si presenta è comunque ad alto rischio per un nuovo conflitto armato.Uno scenario possibile, ma noi come Chiesa, e anche il movimento della società civile che sta crescendo per istruire e educare la nuova società sudanese, cerchiamo di tenere lontano lo spettro di questo pericolo. Perché non è così che si aiuta a costruire quel clima di serenità che deve fare da cornice a un appuntamento di tale importanza per tutti. Con una secessione conclamata, ci potrà essere ancora una collaborazione tra Sud e Nord, oppure ognuno prenderà la propria strada?La condivisione non esisterà più. Per quanto ci riguarda come Chiesa, certo vivremo la nostra sofferenza come è stato nel caso della separazione tra Eritrea e Etiopia. Di comune resterà la povertà. Stiamo comunque lavorando da molto per la data di gennaio del 2011 e per il suo futuro di pace. Vogliamo fare tutto il possibile per creare una atmosfera di serenità.Monsignor Mazzolari, stiamo assistendo a una crisi esplosiva che lambisce una più ampia fetta d’Africa, a partire dal Corno d’Africa?Sì, siamo preoccupati: i conflitti sono continui. Bisogna fare di tutto per creare la pace. Invece sono sempre le armi che distruggono le culture, che le intossicano di violenza.
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